lunedì 20 settembre 2010

RACCONTI

  
IL PREZZO DA PAGARE


In un grande prato verde, un grillo si confondeva col suo colore. Le sue zampette uncinate, s’aggrappavano agli esili fili d’erba che fungevano da liane. Poco distante c’era una margherita, che aveva appena aperto la sua corolla bianca ai raggi del sole che la riscaldava. Il grillo stava per spiccare un salto per raggiungerla, quando frenò il suo slancio poiché fu preceduto da una stupenda farfalla che gli prese il posto, coprendo con le sue ali fragili e variopinte, tutto il fiore.
Il grillo soggiogato dalla sua eleganza e bellezza, rimase ad ammirare la sua livrea che, nel suo insieme, sembrava un bouquet multicolore che irrompeva nella quasi monocromia del verde prato.
Le sue ali come leggeri ventagli, s’agitavano permettendole di fare di tanto in tanto surplace, le sue zampine fragili sottolineavano ancor di più l’eleganza della sua bellezza. 
Dopo un breve riposo, sul cuore giallo della margherita, la farfalla spiegò le sue belle ali e si levò in volo. Il grillo che era rimasto nascosto ad ammirarla, si specchiò in una goccia di rugiada e, amaramente, si rese conto del suo aspetto che differiva molto da quello della bellissima farfalla. Poi, fra sé e sé disse:
“ La natura però è ingiusta, io così brutto, con un naso che prende tutta la faccia, e due occhi sbozzolati dalle orbite e ricoperti da due piccole persiane, con un corpo grosso e goffo su due zampe lunghe e mingherline come trampoli pieghevoli, e come se non bastasse,  le ali, sì perché ci sono le ali che sono nascoste, talmente sono brutte, sotto due code obsolete di un vecchio frac. Senza dimenticare questo colore è quasi sempre verde o marrone, tanto da farmi confondere con i campi, così nessuno mai si accorgerà che esisto!”
Intanto, la farfalla volava, col sole che le illuminava le ali, quando un signore che camminava sul bordo del campo, munito di un retino, attirò l’attenzione del grillo che smise di borbottare per guardare l’uomo che, a lunghi passi, aveva già raggiunto la farfalla.
Spensierata la povera sprovveduta, volteggiava nell'aria. Il grillo rimase nascosto mimetizzandosi fra l’erba e impotente, assistette alla cattura della bella farfalla che, finita prima nel retino e poi nelle mani dell’uomo, subì un orribile destino. Il suo gracile corpo fu trafitto da un abominevole spillo e con cura, fu deposto, ancora agonizzante,  in una scatola. Il povero grillo atterrito da tanta crudeltà, suo malgrado, si sentì pervaso da un senso di contentezza per essere stato creato così come era da madre natura, e pensò che infondo, non essere troppo belli per lui non era stato uno svantaggio. Quel che era accaduto alla farfalla gli aveva fatto capire che per tutto c’era un prezzo da pagare, anche quello della bellezza che, a volte, trasforma in oggetto del desiderio chi la possiede e suscita gelosia ed invidia in coloro, che come il grillo, non si accettano per come sono.

08/03/2015 Anna Giordano 

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VITA IN PAESE ( Primo episodio)


Il bar del Nobile era l’unico bar del paese. Il suo proprietario, che vestiva con raffinata eleganza, aveva un aspetto distinto e il suo modo di parlare lo caratterizzava perché la sua erre sembrava che rotolasse sul sapone. In armonia con gli amici lo aveva battezzato proprio così: il bar del Nobile. Era il luogo di ritrovo di tutti, amici e non. Era situato in una piazzetta dove una fontana a zampillo sputava acqua a singhiozzi dal muso di un delfino arrugginito. Sulla destra, un giardinetto accoglieva i bambini per giocare e di fronte al bar la strada erta portava alla collina dei fichi, che era un piccolo quartiere. Nel paesino era d’usanza ribattezzare gli amici con un soprannome, per identificarli subito.
Pasqualino detto Occhio Fino a causa della sua pronunciata miopia, Peppe detto il Professore per i suoi atteggiamenti da intellettuale, e Antonio che tutti chiamavano il Cancelliere a causa del suo lavoro, che consisteva nell'aprire e chiudere il cancello del cimitero, stavano seduti davanti al bar. I tre solevano riunirsi lì dopo il lavoro, ad orario fisso, e parlavano del più e del meno.
Occhio Fino diceva dell’arrivo nella giornata di una nuova famiglia in paese, madre padre e figlio, questo ultimo, probabilmente loro coetaneo, sui trentacinque anni all'incirca, in base a quanto gli era stato riferito.
Il professore domandò subito che professione esercitasse il nuovo arrivato, egli era curioso
sempre di sapere, che tipo di lavoro svolgessero le persone, perché così, le catalogava nel suo registro mentale, per poi sfoggiare loro tutto il suo sapere e passare ai loro occhi per un erudito.
Occhio Fino non poté fornirgli altre informazioni, non conoscendo ancora la persona.
I tre amici stavano sorseggiando, come di consueto, il loro aperitivo, quando il Cancelliere seduto accanto ad Occhio Fino esclamò con stupore: « Occhio Fino, ma sono i miei occhi oppure quel camion che sta giungendo, non ha l’autista ?»  
Occhio Fino rispose: « Ma proprio a me lo chiedi, io vedo il camion, mi sembra che l’autista ci sia, o no ?»
Il Professore che volgeva le spalle alla strada erta, domandò di quale camion stessero  parlando, il Cancelliere rispose: « Quello che, se non ci togliamo di qui ci viene addosso. Non c’è l’autista !»
Il Professore scattò dalla sua sedia in piedi, guardò il camion che avanzava in loro direzione e gridò:
«Nessuno a bordo! »
Tutti si buttarono a terra, sul lato del giardinetto, quando, a loro sorpresa il camion si fermò.
Lentamente cigolando, si aprì la portiera e ne uscì fuori un ragazzo, all'incirca delle loro età, alto non più di m.1.40, baffi  curati, indossava una tuta verde, che era stata accorciata conservando tutta l’ampiezza, tanto da fare uscire appena, le scarpe nere a punta tonda sulle quali poggiava sopraelevato da due tacchi di circa 5 centimetri. Non era un nano, sembrava più un bambino che non un adulto.
Salutò tutti con un: « Salve !»
I tre amici che nel frattempo si erano alzati, cercavano di darsi un contegno, spazzolandosi i pantaloni.
Imbarazzato, il Professore avanzò verso di lui tendendogli la mano e disse: «Mi presento, Peppe, per gli amici: il Professore. Stavo insegnando loro una tattica di rugby, e tu da dove vieni ?»
«Io sono nuovo, sono appena giunto, abito sulla collina dei fichi», i tre si guardarono, «mi chiamo Mario e faccio il camionista, non ho amici, sono sempre all'estero, lì ho qualche amico, voi siete i primi ragazzi che incontro qui». I tre lo invitarono a bere con loro, Mario li ringraziò e salutandoli, entrò nel camion e ripartì.
Appena si allontanò i tre, insieme al Nobile, lo battezzarono “Il Marziano”.

Anna Giordano

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  La notte più lunga

 - Serata bellissima, grazie per la cena.
 - Figurati, sappi che ora tu mi devi una cena.
 - No problem! Comunque chiamami in ufficio, domani per iniziare
   andremo nella pausa di mezzogiorno in spiaggia a prendere un po’
   di sole e ti offrirò un panino…
-  Ok ciao.
-  Ciao Andrea.
La porta si chiuse alle spalle di Anna… per riaprirsi dopo  alcune ore, sotto lo stupore dei suoi occhi. 
Dopo essersi infilata in un accappatoio, sbirciò in strada per capire se si fosse sbagliata nel regolare la sveglia. 
Eh no, non era la sola a guardare davanti al proprio uscio, 
erano tutti là, a strofinarsi gli occhi; c’era persino 
qualcuno che si faceva pizzicare per sapere se stesse sognando. 
Erano le nove e a conferma: l’orologio della piazza lo precisò con nove rintocchi… ma il sole non era presente, non era ancora sorto.

Anna corse ad indossare qualcosa e scese in strada a domandare se qualche buontempone non avesse fatto uno scherzo manomettendo l’orologio della piazza. 
Era assurdo, la luna e le stelle brillavano come la sera precedente. 
Anna fermò qualcuno e domandò l’ora.
No, non si era sbagliata, erano ormai le 9:30, ne parlavano anche alla radiolina di un ragazzino che, anche lui, era uscito in strada. 
Anna si precipitò in casa accese subito la televisione, per vedere il telegiornale, infatti, tutte le reti parlavano del fenomeno; nel mondo intero era notte, il sole illuminava solo la luna che, come l'interruttore della sua camera, era rimasta accesa la spia notturna.

Gli studiosi non riuscivano a dare una risposta allo strano fenomeno, 
brancolavano nel buio assoluto, ipotizzando eclissi inspiegabili e cercavano di dare spiegazioni le più svariate che risultavano del tutto stravaganti. 
La gente incredula quanto atterrita, aspettava che il giorno arrivasse da un momento all'altro. Le ore passavano e l’angoscia prese 
il posto della speranza… 

Squillò il telefono, Anna rispose. Era Andrea, aveva cercato di raggiungerla più volte, ma le linee erano intasate e non vi era riuscito 
prima delle 19:00. 
I due si scambiarono le loro ansie e supposizioni sul fenomeno che stavano vivendo, senza trovare una risposta, un perché, così, cercarono d’incoraggiarsi a vicenda.
In tutte le TV del mondo, non si parlava che dell’accaduto e delle ripercussioni che ne erano scaturite. Nessuno era andato a lavorare, tutto si era paralizzato, ognuno era rimasto a casa con la famiglia, anche le rappresaglie in Medio-Oriente erano cessate, e non erano le sole.
In molti pregavano implorando di potersi alzare l’indomani e 
vedere di nuovo il sole, ma l’indomani giunse e nulla cambiò se non la temperatura che era scesa sotto lo zero, in piena estate.
L’angoscia non diminuiva e ognuno iniziò a farsi un esame di coscienza, domandandosi, cosa avesse fatto di male per meritarsi un tale castigo.
La cosa strana era che, ogni persona cercava di darsi una risposta, esteriorizzando le proprie supposizioni, in famiglia, oppure parlandone col vicino di casa, con gli amici. 
Man mano che ne parlavano, scoprivano di avere tutti in comune una cosa, quella di avere vissuto sempre, agendo quasi da immortali, pur essendo consapevoli di dover morire.

Avevano accumulato beni, avevano cercato a tutti i costi di conservare per sé, anche a discapito degli altri, beni senza farsi scrupoli. Possedere era la parola chiave.
La cupidigia si era impossessata di loro, non c’era più altruismo, occupava il suo posto l’egoismo, a discapito della cosa più preziosa, alla quale avevano dato poca importanza: “ La vita e l’amore ”.

Ormai da due giorni vivevano senza il sole, le guerre, anche le più piccole, si erano fermate e tutti ridivenuti più umani… analizzavano la propria coscienza. 
Guardandosi dentro iniziarono a valutare la loro esistenza, tutto era
oscuro, ma pian piano uno spiraglio di luce, iniziò ad infiltrarsi e ad illuminare il senso vero, della loro vita. 
Era bastata la paura di perderla, per rendersi conto della sua
importanza. 
Accecati dal loro egoismo che trasformatosi in notte, aveva coperto il loro sguardo.
Così, il sole pian piano riprese il posto nel cielo d’ogni persona che aveva saputo riconoscere i propri errori, infiltrandosi con i suoi raggi aprì spiragli di speranza nella notte che li abitava.

Anna Giordano
 settembre 2007 
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Il computer di Martino



Martino era un bambino molto svogliato. A scuola tutti lo deridevano perché era l’ultimo della classe.
Troppe volte sbagliava i compiti, quello che a lui interessava era il suo migliore amico: il  computer.

Un giorno, mentre stava giocando, accadde una cosa stranissima …
a sua sorpresa, vide uscire dallo schermo tante lettere che si tenevano per mano.
Strabiliato, cercò di afferrarne una, per vedere se era solo la sua immaginazione, ma la lettera A,  gridò forte: “Ahiii, mi fai male!”
Martino rimase ancora più sorpreso nel sentirne la voce.
Con molta reticenza e con un po’ di paura, cercò di afferrare la lettera M che, rivolgendosi a lui disse: “Ma cosa fai, stai attento a non rompermi una gamba!”
Martino sempre più sorpreso domandò:
“ Ma siete vere?”

Le lettere risposero in coro: “Sì certo, siamo uscite dallo schermo per dirti di lasciarci un po’ in pace.”
“Io non ho fatto nulla,” rispose, “come in pace?”
“Tu non fai altro che metterci nel posto sbagliato, ancora non sai né parlare e né scrivere, faresti bene di prendere un libro e imparare, al posto di giocare sempre; con il computer si fa anche altro, ad esempio, studiare!”
“Studiare? Non ci penso nemmeno!” Replicò Martino, ridendo.
 “Ecco, vedi? Abbiamo ragione noi! Siamo qui per toglierti la parola, fin quando non saprai scrivere e parlare correttamente.
Le lettere fecero un girotondo componendo una frase:
“Finché tu non studierai resterai privo di lettere e consonanti!”
Martino riuscì a leggere appena, che tutte le lettere rientrarono nel pc, poi si mise a ridere, ma dalla sua bocca non usciva nessun suono, pensò che per un momento le sue orecchie si fossero otturate. Si mise davanti allo specchio e cercò di pronunciare una parola, che non uscì, gridò forte dalla paura, ma anche questa volta nessuno lo sentì; iniziò a piangere e le lacrime uscivano silenziose, senza che un lamento le accompagnasse.
Martino corse al pc e con il pensiero pregò le lettere d’uscire di nuovo, ma nulla accadde.
Allora prese carta e penna per scrivere, ma neppure sulla carta la penna lasciava traccia di quello che scriveva.
Disperato uscì in strada, pensando che era solo uno scherzo di qualcuno, fermò un suo compagno di scuola e quando gli parlò, nessun suono la sua bocca pronunciò.
Il suo compagno lo guardò e conoscendolo, disse: “ Sei sempre il solito burlone!”
Martino capì che, l’unica cosa che gli restava da fare era di mettersi a studiare.
Corse in camera, prese la grammatica ed iniziò a leggere le regole, imparò a memoria i verbi, sfogliò le pagine del suo computer, solo per apprendere e non giocare.
Poi, con la mente, recitò quel che aveva imparato, studiò la storia che fino a quel momento non aveva mai appreso, cercò di mettere alla prova il suo sapere, ponendosi delle domande, ma ancora non sentiva la sua voce; cercò di scrivere, ma ancora niente, erano ormai passati molti giorni e la speranza di ritrovare le lettere dell’alfabeto rimase vana.
Martino in lacrime accese il pc, sperando che le lettere avessero pietà di lui …

La notte arrivò e lui, stanco, si addormentò davanti allo schermo acceso del computer.
Quando la mattina si svegliò, sullo schermo del pc trovò la scritta: “ Prova a scrivere”
Martino subito prese un foglio bianco e come vi poggiò la penna sopra, iniziò a vedere le lettere che scriveva.
Finalmente era stato premiato per i suoi sforzi. Un grido di gioia uscì dalla sua bocca, anche la voce era ritornata, che gioia! Poteva di nuovo parlare e scrivere.
Da quel giorno, i compagni di classe non lo presero più in giro e Martino capì quanto fosse importante studiare.

Anna Giordano.
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Il sogno e la volontà

Un giovane pescatore che viveva in un piccolo, quanto povero borgo marinaro, era giunto al suo ventesimo anno di età.
Sin da quando era bambino, aveva sentito parlare, tramite suo nonno, anche lui pescatore, di un pesce d’oro al quale aveva dato sempre la caccia, ma senza esito.
Era cresciuto con il desiderio di riuscire a pescare quello che suo nonno per una vita intera, non era riuscito a catturare.
Il nonno gli aveva raccontato del pesce d’oro, ma non gli aveva dato tanti particolari per poter tracciare una rotta da seguire ed orientare la sua ricerca; anche se non era mai riuscito a trovarlo, aveva continuato a inseguire il suo sogno, pur se non aveva messo in atto mai un piano per sviluppare la sua ricerca.  
Il giovane pescatore, dopo aver fatto il punto della situazione, si decise di partire alla ricerca del pesce d’oro. Sapeva che non sarebbe stata cosa facile, il mare non era una pozzanghera, la sua immensità, comunque, non lo scoraggiò e neppure la famiglia riuscì a farlo cambiare idea, lui aveva deciso e la sua volontà di proseguire il suo progetto lo fece diventare sordo alle parole di persuasione da parte dei suoi familiari.
Tutti gli ripetevano che la sua impresa era impossibile perché  il pesce d’oro non esisteva.  Suo nonno, che pur essendo  un lupo di mare, non era riuscito in tanti anni a catturarlo e tutto quel che aveva pescato in oro, si definiva con una sola ed unica parola: “Nulla”!
Il giovane quasi si turava le orecchie pur  di non farsi scoraggiare, non ascoltava nessuno se non il suo sogno.
La sua assoluta caparbietà l’ebbe vinta su tutto e inoltre, riuscì a convincere il proprietario di un peschereccio, ben più grande del suo, a prendere il largo insieme a lui per cercare il pesce d'oro.

Passarono giorni, dopo giorni. Navigarono per mari e oceani, in cerca di un pesce, ormai inesistente.
Il proprietario del peschereccio, sfiduciato infierì sul povero pescatore sognatore.
Così, dopo una lite si misero d’accordo che sarebbero rientrati, non senza malcontento da parte del giovane che avrebbe voluto continuare la sua ricerca. Col cuore scuro che gli stringeva in petto, diede il cambio al timone, al proprietario del peschereccio  improntando la rotta verso casa.
Avevano perso troppo tempo e il giovane pescatore, propose al proprietario del peschereccio, di buttare le reti, per non tornare  a mani vuote, magari pescare almeno del pesce normale!
Quelle acque erano conosciute per essere ricche di fauna marina.
Mancava un giorno al rientro e le reti dovevano sicuramente  essere piene, quando iniziarono a tirarle a bordo, a loro grande stupore, videro che le reti erano tese, pensarono che ciò fosse dovuto al peso del pesce che contenevano.
Provarono a tirare le reti su pian piano con la carrucola, ma non ci riuscirono.
Le reti erano tese sempre più, così per non romperle,  il giovane pescatore decise di andare a vedere cosa stesse succedendo sott’acqua.
Si tolse la maglia e i pantaloni, si tuffò sprofondando nell’abisso. Dopo una breve attesa, il proprietario del peschereccio lo vide risalire.
Faceva dei grandi gesti, chiese di essere tirato su, i suoi occhi brillavano dalla gioia e non riusciva a parlare; incuriosito, il padrone del peschereccio domandò cosa avesse visto e il pescatore gli rispose che la rete si era impigliata in un vecchio galeone che giaceva sul fondale, la cui polena in forma di pesce era tutta in oro. Il giovane dopo aver ripreso le forze si rituffò portando con lui una fune.
Aveva deciso di tirare la polena a bordo e di legare una boa al galeone per segnalarne la posizione, magari potevano esserci altri tesori nascosti al suo interno, ma quel che interessava al giovane pescatore per il momento era solo il pesce d’oro. Quando l’ebbe legato bene alla fune, diede uno strappo alla corda come segnale per il suo compagno di rotta,  il quale mise in funzione la carrucola e tirò su la polena. Non credeva ai suoi occhi quando vide uscire dall’acqua il pesce d’oro del galeone sommerso.
Finalmente il sogno di una leggenda, in cui nessuno voleva credere, aveva dato i suoi frutti. Il giovane pescatore  rientrò al piccolo borgo con il tesoro, lasciando a bocca aperta tutti coloro che lo avevano deriso e scoraggiato, per fortuna era stato ripagato dal suo impegno nel cercare qualcosa di cui era convinto fermamente, ma che tutti definivano soltanto un sogno che era diventato, pertanto realtà.

Anna Giordano  28/01/2009

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 Il Piccolo Lembo di cielo


Un Piccolo Lembo di Cielo guardando la terra, ancora quando il creato non era stato del tutto completato, si accorse che fra tutti i colori che la componevano, mancava proprio quello del cielo, "l’azzurro".

Questi allora, convocò in riunione tutto il suo resto, e disse: “Dobbiamo fare qualcosa perché la terra abbia anche l’azzurro come colore, è il pianeta più bello ed è un peccato non essere presente con il nostro colore, anzi, propongo di farne il suo emblema.”

Il resto del cielo, ascoltò attentamente il Piccolo Lembo … che con grande ardire difendeva le sue idee. Dopo un consiglio generale, il cielo tutto, definì l’idea valida d’essere rappresentato anche sulla terra.
Decise così, d’inviare sul luogo il promotore dell’idea: “Il Piccolo Lembo di Cielo che,” staccarono dal cielo e lo catapultarono di sorpresa sulla terra.
Poverino, non ebbe neppure il tempo di dare il suo consenso, che si trovò nel luogo da lui tanto decantato.
Era stato lui ad avere avuto l’idea?  Doveva metterla in atto.
La cosa non era facile, poiché non aveva i mezzi per farlo, non sapeva neppure come ritornare in cielo, non aveva ali.
Preoccupato dai  mille problemi da risolvere per dare il colore alla terra, e non trovando risposta, si spaventò, tanto che iniziò a piangere, e lo fece per giorni e giorni, la sua disperazione fu tale, che formò fiumi di lacrime che, piano, piano, riempirono valli deserte, fino a raggiungere altre valli, e poi … ancora … ancora … e ancora, ricoprendo un'enorme superficie della terra con un'immensa distesa d’acqua, salata come le sue lacrime ed azzurra come il suo colore.
Senza saperlo … aveva generato il mare. Il sole che dal cielo lo osservava, vedendo la sua disperazione nel non sapere come fare per ritornare in cielo, ne ebbe compassione e volle premiarlo.
Con i suoi raggi riscaldò le lacrime del mare, trasformandole in migliaia di perline d’acqua invisibili, che sospese nell’aria, le illuminò dei suoi raggi, così comparve come  per  magia … un grande ponte multicolore, aveva la forma di un immenso arco, tanto immenso da unire la terra al cielo.
L’arco apparve in un baleno, e fu chiamato d’allora appunto così: “Arcobaleno.”
Il sole invitò a salire sull'arco il Piccolo Lembo di Cielo che, asciugandosi gli occhi e ringraziandolo, sorrise.
Man mano che si arrampicava sul ponte,  guardava quasi  incredulo, l’opera da lui compiuta, l’immensa bellezza che aveva generato. Si sentì fiero, anche della sua debolezza, l’avere pianto era servito, non ad avere vergogna di lui stesso, ma ad avere creato il mare, sì, con le sue lacrime ed il suo colore che, diede alla terra grazie al mare, anche un secondo nome quello di “Pianeta blu.”
Il Piccolo Lembo... giunto in cielo, fu acclamato da tutto il suo resto.
Gli fu attribuito il merito al pianto ed alla sua missione portata a termine; per ricompensarlo furono appese sul lembo del suo lenzuolo d’azzurro, due stelle di nome: “Castore e Polluce”,
visibili ancora oggi nella costellazione dei gemelli …
Da quel giorno, il mare riflette il cielo, ed il cielo si specchia nel mare,
sorridenti all’orizzonte, si tengono per mano, proprio, come due fratelli gemelli.

Anna Giordano 


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La morte del desiderio



Giunse alla fermata del bus affannata. Maria, non poteva mancare certo l'appuntamento che aveva atteso da anni. Salì sul bus che l'avrebbe portata in meno di mezzora al centro. Finalmente avrebbe incontrato la persona che l'aveva messa al mondo.
Maria viveva dall'età di due anni, con la famiglia che l'aveva adottata. Non che si trovasse male, anzi, era amata e coccolata da tutti, ma il suo pensiero rincorreva sovente il desiderio di conoscere il perché del suo abbandono da parte di colei che le aveva donato la vita.

Era riuscita tramite internet ed alcuni suoi amici a rintracciare sua madre naturale che viveva a cinquanta chilometri dalla città in cui abitava. Senza far parte delle sue intenzioni alla famiglia adottiva, era riuscita a scrivere a sua madre numerose mail supplicandola d'incontrarla, lei, anche se reticente, aveva accettato...

Se ne stava nel suo angolo in fondo al bus Maria. Immersa nei pensieri, immaginando su come avrebbe affrontato sua madre, se l'avesse riconosciuta perché magari le somigliava, oppure se l'avesse abbracciata o solo guardata, quale sarebbe stata la sua reazione nel vederla...? Immersa nei vortici dei suoi pensieri fu distolta da una signora che le domandò se poteva sedersi. Maria la guardò con occhi straniti, come se si fosse appena svegliata, poi guardò l'orologio, erano trascorsi venti minuti da quando era salita sull'autobus; scusandosi tolse il libro che occupava il posto accanto al suo e con un gesto meccanico lo pose sulle sue ginocchia. La signora si mise a sedere, diede un'occhiata, al titolo del libro e poi a lei, che già era ripiombata nei suoi pensieri, estraniandosi.
Mancava più che una fermata, e poi Maria sarebbe scesa. Il tempo trascorreva velocemente e il suo cuore batteva sempre più forte, avrebbe voluto fermare le lancette per prendere fiato, irrequieta arrotolò il piccolo libro, la signora la fissava, e a sua volta sembrava essere contagiata dalla sua irrequietezza. Infatti, anche lei attorcigliava le sue dita come se avesse voluto fermare quelle di Maria che torturavano il libro. Di colpo, il bus si fermò. Una donna era stata appena investita, aveva annunciato l'autista del bus.
Mancavano pochi metri dalla fermata tanto attesa, Maria attraversò il lungo corridoio per raggiungere l'autista al quale chiese di scendere, la signora che le stava accanto e altre tre persone fecero la stessa cosa.
"Pochi metri ancora e l'avrebbe incontrata" pensava tutta eccitata Maria.
Il cuore le batteva in gola fino a farle mancare il respiro, correva per paura di arrivare tardi brandendo quel piccolo libro nella mano destra, per farsi riconoscere, ma una scena straziante si aprì ai suoi occhi. Una donna riversa a terra senza vita volgeva lo sguardo al cielo. Maria ebbe un brivido lungo la schiena, girò lo sguardo, per non incontrare quello gelido della morte.
La signora che stava con lei sul bus, profittò della sua disattenzione per lasciare cadere accanto alla borsa della donna investita, un libro...
Maria, ripresasi dallo sgomento, si girò per continuare la sua corsa, ma fu attratta dal libro che si trovava vicino alla borsa della vittima. Il suo respiro si bloccò, tutta la sua ansia si tramutò in tremolio, si avvicinò alla borsa della donna morta e con mano tremula, raccolse il libro, quello, che le avrebbe unite.
Un pensiero di rabbia le attraversò la mente: "Il destino si era ancora una volta beffata di lei."
Due lacrime rigavano le guance diafane, che fino a poco prima erano rosse e vive.
Guardò ancora una volta il volto e gli occhi della donna. Un nugolo di curiosi si era formato intorno a lei e la sirena dei mezzi di soccorso annunciava il loro arrivo.
Maria furtivamente arrotolò il libro intorno al suo, stringendoli l'uno intorno all'altro come in un mancato abbraccio, li strinse sul petto ed in silenzio si allontanò ...
Anna Giordano

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    Il SIGNORE DELLA PIANURA.


«Sulle sue rive giaceva, vinto dalla stanchezza, Khaled. Aveva lavorato tutto il giorno alla costruzione della piramide di Cheope. Il sole cedeva il posto alla sera, la luna s’alzava nel cielo mentre lo salutava, pallida avanzava timidamente e rischiarava le acque del Nilo,“il Signore della pianura,” che serpeggiava nella valle tra le piramidi; il grano alto e biondo sussurrava una ninna nanna suonata dal vento fra le sue spighe».

                                                              *****

Oriana era giunta in Egitto soltanto da un giorno e la prima escursione l’aveva già immersa nella sua storia antica; la scena appena descritta dalla guida l’aveva rapita. Sentiva sua quella storia di vita quotidiana scolpita e dipinta su una parete della piramide in cui si trovava. Ne era estasiata.
Aveva sempre sognato, sin da bambina, di visitare quel paese culla di una delle più antiche civiltà.

Insieme alla sua amica Flavia, dopo due anni d’economia, era finalmente riuscita a realizzare le sue vacanze da sogno, senza doversi privare di alcun piacere. I piedi poggiati sulla sabbia del deserto, gli odori d’antico, misti a muffa, salivano in superficie dalle cavità della piramide, trasmettendole una strana sensazione, come fosse già stata in quei luoghi e avesse già vissuto quei momenti. Come flash back le immagini sfilavano davanti agli occhi. Momenti come sogni…
Pensò che tutto ciò dipendesse dal fatto che avesse letto tanto sull’Egitto, e che ne fosse involontariamente rimasta soggiogata a tal punto, da non sentirsi estranea ai luoghi.

Rientrando in hotel domandò alla sua amica come avrebbe voluto passare la serata, poiché era la prima sera che passava insieme a lei sul suolo egiziano e in più, in quella meravigliosa città del Cairo. Flavia era un po’ stanca e sarebbe rimasta volentieri in camera, ma per non smorzare l’enfasi che illuminava gli occhi d’Oriana, rispose dicendole di scegliere lei quello che voleva fare. Oriana non se lo fece ripetere e decisa, disse:
«Bene, dopo una bella doccia ci vestiamo e andiamo a cena fuori»!
«Aspetta,» replicò Flavia,
« Non vuoi mica uscire di sera e per giunta da sole, in una città come il Cairo di cui non conosciamo nulla» Oriana si soffermò a guardarla, sorpresa per la sua reazione rispose:
«non preoccuparti, lascia fare me, non avrai paura della notte»?
«no, non ho paura della notte, ma di chi si può incontrare».
« Non preoccuparti domanderò alla reception un luogo sicuro in cui passare la serata, dai sbrighiamoci altrimenti facciamo tardi e domattina saremo stanche per l’escursione»!
«Ma sei una fonte di energia non so se arriverò a seguirti». Aggiunse sorridendo Flavia.

Dopo poco tempo…

«Che bello»! Esclamò Oriana, estasiata dalla veduta sulla città del Cairo, che illuminata da mille luci, giaceva ai piedi dell’Hyatt Hotel, sulla cui torre, il ristorante su piattaforma girevole le permetteva di ammirare il panorama a trecentosessanta gradi.
«Meraviglia di meraviglie, ma è da mozzafiato questo panorama e poi mi sento così vicino alle stelle …» Gli occhi fecero il giro dell’orizzonte e si posarono senza volerlo, in due occhi che la guardavano con ammirazione, quelli d’uno sconosciuto seduto al tavolo poco distante dal loro, uno sguardo profondo e scuro, che si fuse con l’intenso blu degli occhi d’Oriana; turbata sussurrò fra i denti a Flavia:


                                                                                                                                                                  2
«Non mi è mai successo d’incrociare uno sguardo e dimorarvi senza avere la forza di staccarmene», Flavia si girò per vedere lo sconosciuto, stava parlando col cameriere, poi si rigirò…
« Bel tipo, ha degli occhi di brace, ti sta ancora osservando»?
«Sì, ma non diamogli retta, è come una calamita mi attrae».
«Lo credo bene»! Esclamò sorridendo Flavia.

Il cameriere si avvicinò a loro, portando su un vassoio una rosa bianca, accompagnata da un bigliettino da visita, Oriana lo guardò sorpresa, volgendogli uno sguardo interrogativo. Il cameriere accennò col capo un mezzo inchino, e con gli occhi la invitò ad accettare. Lei prese il bigliettino e la rosa, che istintivamente portò al naso, la odorò, poi guardò lo sconosciuto ed arrossì.
«Che idea, accettare questa rosa». Disse sottovoce quasi come un rimprovero a se stessa, guardò il biglietto e stranamente la frase era in italiano, stupita lesse in silenzio: “Anche se l’azzurro del Nilo è stato oscurato dalla notte, ho visto brillare due gocce azzurre come le sue acque, che neppure la notte è riuscita ad oscurarne la loro lucentezza.”
Con il viso purpureo, confusa da tanta poesia, non sapeva se alzare i suoi occhi che ancora guardavano per terra, quando, vicino al tavolo comparvero due scarpe nere e lucide, spiccavano sotto i pantaloni di lino bianco.
Il cuore le batteva in gola e lentamente la testa seguì gli occhi fino ad incontrare lo sguardo profondo e scuro come l’inchiostro, del suo ammiratore.                                                 
«Permette»? Domandò lo sconosciuto.
Frastornata Oriana guardò Flavia che, a sua volta, la guardava come per dirle: “rispondi.”
 « Se permette, vorrei spiegarle il mio gesto». Continuò lo sconosciuto; lei rispose in automatico:
« Prego». Come se fosse caduta in trans, era quella l’impressione che dava di lei.
Stava succedendo qualcosa di stranissimo, anche se non capiva cosa, sembrava che stesse vivendo una situazione non nuova, sì, proprio il classico “déjà vu.”
Lo sconosciuto, riprese a parlare dicendo:
« Permette che mi segga»?
«sì prego». Disse lei confusa.
« Mi presento: Khaled Sanghen, egiziano».
« Piacere: Oriana Gladi, italiana e lei è la mia amica Falvia Tarbi».
«Siete qui per vacanze, immagino».  
«Sì». Disse Flavia.
Oriana la interruppe domandando allo sconosciuto:
« Come mai parla così bene l’italiano»?
«Parlo cinque lingue e poi il nostro paese ha degli ottimi rapporti col vostro, sovente gli affari ci obbligano a parlare più lingue, se non vogliamo rimanere tagliati dal resto dei mercati mondiali». Erano appena tre minuti che parlava con lo sconosciuto ed aveva già appreso tante cose sulla sua vita, si sentiva affascinata dalla sua eleganza nel modo di porsi, oltre alla sua bellezza…
Khaled continuò dicendo: 
«Vi tratterrete per  molto tempo»?
Oriana disse no, Flavia sì, si guardarono e scoppiarono a ridere coinvolgendo anche lui che le guardava divertito, Oriana riprese:
«No, vede, noi siamo qui da un giorno e dipende cosa s’intende per molto, si vede che io e la mia amica, abbiamo due visioni differenti del tempo che passeremo qui, poiché per lei quindici giorni sono sufficienti per vedere tutto quello che c’è, mentre per me non basterebbe una vita per scoprire il suo paese».
« Se a voi fa piacere posso mettere a vostra disposizione la mia auto con il mio autista per farvi girare i posti più belli della città». Propose Khaled, ma Flavia intervenne tempestivamente:

3
« Lei è molto gentile, ma abbiamo già prenotato per l’escursione e vedo che si è fatto anche tardi, domattina partiamo alle sei per le piramidi di nuovo, oggi ne abbiamo visitato solo una parte».
«Bene, allora permettetemi d’invitarvi a cena, domani sera, se vi fa piacere, in un altro ristorante per farvi gustare la cucina locale».
Oriana disse subito:
«sarà con piacere, vero Flavia»? E le toccò il piede sotto il tavolo per farla accettare.
«Sì, va bene anche per me». Aggiunse con un sorriso forzato.
Poi si alzò e salutò Khaled, Oriana stava per seguire la sua amica, quando, fu fermata da Khaled, le prese la mano, s’inchinò e vi avvicinò le sue labbra senza toccarla, un baciamano di cui ella sentì solo il respiro caldo sfiorarle la pelle, poi si guardarono e le ultime parole di lui furono:
«Buona notte a domani, goccia del Nilo».

Appena giunsero in hotel, Flavia, che non aveva detto nulla durante il tragitto in taxi, con un tono quasi seccato disse a Oriana:
« Ma vuoi dirmi cosa ti è preso nell’accettare l’invito a cena da parte di uno sconosciuto»? Oriana rispose che non era più uno sconosciuto, aveva il suo bigliettino da visita, la rosa e il ricordo del suo sguardo…
«Ma non puoi essere sicura che sia una persona rispettabile e di cui ci si può fidare, non sai nulla di lui se non, che parla cinque lingue ed è ingegnere».
«Vero, ma è come se lo conoscessi da sempre, è una sensazione che non so spiegarti, ma è così credimi».
«Oh, lascia stare, tanto non mi convinci, sai»?
«Va bene, va bene, domani telefono e disdico così sarai contenta».
«No, puoi andarci ma non contare che io ti accompagni».
«Va bene ci andrò da sola buona notte».
Con rabbia girò le spalle e chiuse la porta che divideva le due stanze. Oriana non si era mai bisticciata con la sua amica, era arrabbiata per averlo fatto per una ragione poi così stupida, una volta a letto ebbe difficoltà ad addormentarsi…

I raggi del sole filtrarono attraverso le tende solleticandole gli occhi, si svegliò di scatto e guardò l’ora.
«Ma… sono le dieci! È tardi, cosa mi è preso? L’escursione, Flavia»! Gridò dalla sua stanza, dimenticando il litigio della sera precedente. Non rispose nessuno, si alzò, aprì la porta, Flavia non c’era, era partita senza di lei, senza chiamarla.
Si precipitò verso il telefono, aveva il cuore che le scoppiava in gola, la rabbia e la preoccupazione s’erano impadroniti di lei.
«Pronto è la camera settecentonove, sì, vorrei sapere se la signorina Tarbi ha lasciato un messaggio per me».
Una voce maschile rispose: 
«sì, ha lasciato detto che non rientrava prima di sera, come previsto».
« Bene, grazie».
Chiuse il telefono, amareggiata per il comportamento di Flavia. Strinse i pugni e si morse le labbra. Dopo aver fatto una doccia si vestì e decise di uscire per visitare da sola i luoghi, nel prendere la borsa, cadde a terra il bigliettino da visita di Khaled, lo raccolse e lo lesse, fu vinta dall’idea di chiamarlo, compose il numero con agitazione il cuore le batteva a mille…
« Pronto, è l’ingegnere Khaled Senghen»?
«Sì, sono io, goccia del Nilo».
«Come fa a sapere che sono io»?
«La sua voce, la riconoscerei fra tutte, e poi, non succede tutti i giorni di sentire la voce di una donna che parla italiano». Oriana sorrise arrossendo per la sua ingenuità e aggiunse:
«Vero, ha ragione sono stupida».

4
«No, non dica così. Che cosa succede, ha riflettuto e cambiato idea su quanto, le avevo proposto ieri sera»?
«Beh, devo ammettere che mi sono svegliata tardi e la mia amica non ha voluto disturbarmi e così sono rimasta da sola e …e non conoscendo nessuno…»
«Capisco, guardi, sarò da lei fra dieci minuti, vengo a prenderla».
«Aspetti, le do l’indirizzo…»
«No, non si preoccupi ieri sera ho domandato chi aveva prenotato il ristorante e mi hanno detto che lo Sheraton  aveva prenotato per due delle sue clienti. »
«Bene! Vedo che fa anche il detective.» Khaled sorrise e ribadì che sarebbe arrivato subito.

Oriana si fece trovare nella hall dell’hotel, lui arrivò dopo dieci minuti, si salutarono e si scambiarono un sorriso, le tese  il braccio e l’accompagnò all’auto che li stava aspettando all’uscita.
«Allora, dove vuole andare? Mi dica. Ogni suo desiderio sarà esaudito».
«Non le chiedo tanto». Disse lei timidamente.
«Va bene, allora cosa le piacerebbe visitare»?
«Mi sarebbe piaciuto ritornare alla piramide che ho visto ieri».
«Ma se l’ha già vista a cosa serve ritornarci»?
«Sì ha ragione, ma devo vedere qualcosa di cui non ricordo più il nome».
«Va bene andiamo, il nome della piramide, quello se lo ricorda»?
«Sì, di Cheope».
Khaled parlò all’autista e partirono; le frecce sui cartelli indicavano i siti archeologici del Cairo, e mentre l’auto percorreva la strada…

«Allora, la sua amica come mai non l’ha svegliata, visto che lei ci teneva tanto all’escursione»? «Non ha voluto svegliarmi visto che dormivo profondamente ».
«Ho come l’impressione che io non le sia simpatico».
« È solo una sua impressione, lei è fatta così sono anni che ci conosciamo, si è sempre presa molta cura di me, essendo di qualche anno più grande, è un po’ come una sorella maggiore per me».
«Capisco… ah! Eccoci giunti, metta pure il suo cappellino altrimenti il sole le brucerà il viso, in questo periodo è particolarmente cocente».
«Sì, grazie per avermelo ricordato, un attimo solo e sono pronta per uscire al sole».
Con un movimento Oriana infilò la sua testa in un cappellino di lino, i capelli castano dorato contrastavano col suo colore bianco, lui la guardò intensamente prima di scendere per aprirle la porta, le tese la mano e disse all’autista di aspettarli lì.
«Ecco l’entrata! Ieri ho visto qualcosa che desidererei rivedere».
«Andiamo, sono curioso di vedere cosa l’ha spinta a venire di nuovo a vedere questa piramide». «Esattamente non lo so ancora, anche perché è solo una curiosità. Ecco ci siamo è qui vicino. È un disegno con dei geroglifici».
«Io posso leggerle alcuni passaggi se le fa piacere».
«Cosa? Davvero lei sa leggere i geroglifici»?
«Sì, ho lavorato con degli archeologi ed ho appreso a leggerli».
«Ma è magnifico»! Sorridendo Khaled si girò dicendo:
«Vediamo cosa c’è di così importante da scoprire».
«Ecco! Legga qui. È quello che ha letto ieri la guida».
Khaled iniziò a leggere:
«Sulle sue rive giaceva vinto dalla stanchezza, Khaled. Aveva lavorato tutto il giorno alla costruzione della piramide di Cheope. Era il momento in cui il sole cedeva il posto alla sera, la luna s’alzava nel cielo  salutando il sole, pallida, avanzava timidamente e rischiarava le acque del Nilo “il Signore della pianura,” che serpeggiava nella valle tra le piramidi; il grano alto e biondo,sussurrava una ninna nanna suonata dal vento fra le spighe».

Khaled, terminò di leggere e la guardò con curiosità. Oriana subito disse:
5
«Non trova che sia una strana coincidenza il nome dello schiavo»?
«Sì, Khaled comunque è un nome molto diffuso la cosa più strana è che non era uno schiavo, ma un ingegnere dell’epoca, c’è scritto nel seguito».
«Inquietante e allo stesso tempo direi misterioso».
«Già, non avevo mai letto questo geroglifico».
«E cosa dice d’altro»?
«Aspetti, deve sapere che gli antichi Egizi amavano raccontare la loro vita quotidiana, che annotavano sui muri delle tante costruzioni o su tavolette, come se fossero diari. Qui, Khaled è evidente che non abbia scritto lui questa pagina di quotidianità, poiché dormiva, ma la sua donna, che probabilmente l’aveva guardato dormire, e volle lasciare le sue emozioni, descrivendone la scena su qualche tavoletta, lui probabilmente trascrisse qui il tutto affinché il suo pensiero dimorasse nel tempo».
«Bello»! Esclamò Oriana.
«Ma, come fa a sapere che aveva una donna»?
«La parete è grande, anche se restano pochi frammenti del geroglifico, sto cercando di decifrare quanto è possibile capire, ci sono dei pezzi che mancano, ma leggo un nome, venga, le spiego, vede quell’occhio»?
«Quale, quello con le onde al posto dell’iride»?
«Sì! Quello, è un indizio, poi le spiego. Qui, c’è un’altra giornata di lavoro, calcoli e altre cose che spiegano come si svolge la giornata di Khaled l’ingegnere, e qui c’è lui che parla della donna che viene a portargli della focaccia, un pane molto nutriente a base di farina, acqua, cipolle e grasso, cotto al forno, un pasto che di consueto era consumato da chi sprecava molte energie nella costruzione delle piramidi.
Qui c’è la testimonianza che aveva una donna, perché nel vederla dice: “Arriva come vento del deserto, con i profumi del pasto quotidiano, mi perdo nelle onde dei suoi occhi, che dell’azzurro Nilo, ne ha rubato i colori, mia dolce Ori…”non si legge interamente peccato che manchi il pezzo…»
Alle parole appena pronunciate seguì il silenzio…
Oriana e Khaled si guardarono e l’emozione fu grande, lui aggiunse, dandole per la prima volta del tu:
«Se non mi credi, chiama una guida o un esperto e fatti dire quello che c’è scritto».
«No, ti credo». Disse Oriana, evidentemente emozionata quanto lui, dal momento in cui aveva incrociato i suoi occhi aveva risentito la stessa sensazione, che la sera precedente. Si guardavano e non arrivavano a staccare gli occhi l’uno dell’altro. Khaled le prese la mano e la porto alle labbra sussurrandole:  
«Goccia del Nilo dove sei stata fino adesso»?  Lei rispose:
«Ho aspettato questo momento forse da sempre, ma no ne conoscevo il perché, ora lo so e non mi pento d’avere atteso tanto».
Erano rimasti da soli, il gruppo di turisti che era appena passato loro accanto si era allontanato proseguendo nei dedali della piramide. Khaled, guardando Oriana, la strinse a sé accarezzandole il viso, con la stessa delicatezza che avrebbe accarezzato i petali di una rosa bianca e delicata. Avvicinò le labbra al suo orecchio e le sussurrò: «Bentornata Ori…».


Anna Giordano. 28/06/2008







POESIE SU LUOGHI E NATURA...

La nascita di un Giorno


Il cielo inizia pian piano il suo travaglio
per partorire il giorno .

Gocce di colori scivolano nel mare,
nuvole di cotone asciugano la sua fronte. 

Gronda il sudore e il sole preme all’orizzonte.

Il cielo esplode in sfumature di rosa
che vanno dal viola al porpora dorato
e sul lampione si posa, 
anche esso estasiato,
un piccione

per condivide con me la meraviglia
di una natura che generosa
si offre al nostro sguardo,

mentre, 
un silenzioso vagito di luce irrompe
e annuncia la nascita
del nuovo giorno.




                                                               Anna Giordano
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Africa

Guardando un film ho visto in te,
Africa,
racchiuse meraviglie quasi  irreali,
così differenti  dai nostri luoghi!
Fiumi ,laghi , cascate,
dall’alto d’un volo,
sembrano vene
in cui scorre la linfa di una terra
che respira la vita.

Alle frontiere  inesistenti,
nella tua sconfinata solitudine,
lo sguardo vi si perde ...
Bella come l’alba del creato,
come una rosa  profumata tra le spine,
l’immensità in te trova le sue misure.

Laddove gli occhi,
sotto le stelle lucenti,
più che  in ogni altro luogo,
l’eguagliano  nella luce,
talmente è l’emozione,
che tu,
terra d’Africa,
gli trasmetti.

Librarsi nell’aria
per sorvolare sommità di monti,
branchi di gnu in transumanza,
che alla rinfusa corrono in sterminati spazi,
per chilometri e chilometri.

Colonie di fenicotteri rosa
colorano il paesaggio,
alzandosi in volo a gruppo
come isole vaganti che,
delle acque sottostanti,
occupano i luoghi.

Serpeggiano i fiumi
tra vergini distese rigogliose,
forza della natura!
Cuccioli di leoni, zebre, bufali, elefanti,
alberi che tendono le braccia al cielo,
nella notte albeggiante.

Le verdi foreste dei monti
unendosi con la savana,
esprimono l’immensa libertà,
per una terra che da sempre è schiava .

Fauna e flora,
in armonia si sposano,
per l’equilibrio  reciproco di sopravvivenza.
Africa,
pur  se non misi mai piede sulla tua terra,
hai preso del mio cuore nel sol vederti:
l’essenza di tutte le emozioni che lo abitano.

Tramonti unici di cui il sole,
enorme disco di fuoco,
sembra lì abitare,
e  quando va’ a dormire,  
prende per letto la tua terra,
come te,
Africa,
hai preso per giaciglio il mio cuore.



Anna  Giordano
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Alla fonte dei ricordi  ( Dedicata a Paestum)

Serbo di te
nel tempio della mia giovinezza
dolci ritratti di tramonti
tinti di calde sfumature.

Fra le colonne
del sole i raggi fanno brillar
di nostalgia lo sguardo
e il cuore mio riscaldano
nell’evocarti.

Dall’infinito dei pensieri
sorgi come alba
sospesa al tempo dei tuoi templi
e le colonne
reggono il peso dei millenni.

Templi innalzati a dei
credenze dell’antichità
rievocate
sin sulle rive dei miei anni…

portandomi alla fonte del passato
accendi in me la luce dei ricordi
quando
da ragazzina
dal fascino tuo 
soggiogata
solevo passeggiar fra le tue mura
e respirando, di te, tutte le fragranze
“Rosa fra le rose”
ti portai via con me
nella memoria dei profumi.


 Anna Giordano
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Fiore di cactus

Apristi al tempo i petali,

candidi come neve.

Il nettare del tuo calice offristi al sole

in cambio della sua vital carezza,

che ti permise, per un giorno solo,

vivere l’ effimera tua bellezza.


Anna Giordano

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Mare d’inverno


Una panchina,
di fronte: il mare.
Cumuli d’alghe stanche
spinte a riva dalla sua ira.

Gabbiani affaccendati
cercano il cibo
assidui tra i rifiuti
che il mare gli ha portato.

Emergono dai flutti
alberi stilizzati
approdano sui lidi strane sculture.
Deformi rami spenti
radici aggrovigliate
imprecano la sorte  
d’averli abbandonati.

Spicca la colomba un volo
sul mare verde e viola
di questo inverno caldo.

L’odore di salsedine
 penetra nei polmoni
e resto lì a guardare
lo stormo di gabbiani
planare sulle onde.

Il sole mi riscalda
con le sue braccia di luce
il vento sensazione
di mano fra i capelli
infonde in me l’ebbrezza
di un simulato volo fra le stelle .


Anna Giordano

_____________________________________
Il girasole

Petali di sole la sua corolla,
orna con schegge d’oro
un cuore di semi.

Viso rivolto al sole senza vergogna,
l’ insegue con lo sguardo tutto
il giorno,
pregandolo di regalargli il caldo
dei suoi raggi .

E …

verso sera,
quando il sole va’ a dormire,
cede  il posto del sorriso alla tristezza:

china la testa e abbassa lo sguardo
verso la terra,
e con malinconia stringendo intorno
al cuore i petali  ancora caldi,
attende che il sole si risvegli .

Anna Giordano
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L’autunno che non c’è.


Brillano al sole
le foglie della quercia ancora verdi.
Stormisce fra i suoi rami il vento
annunciatore di un inverno precoce.

L’autunno non è ancora giunto
e le stagioni sembrano impazzite.

Le nuvole
rincorrono sui campi appena arati
la loro ombra.

Il freddo grida al di là dai vetri
e spinge la natura al suicidio.

Alberi ancora verdi o appena ingialliti
tossiscono il disagio e poi arrossiscono
al vento incollerito che, sbruffa ed impaziente
strappa loro il vestito.

Anna Giordano
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Lacrime di sole

Varcando le ombre della sera,
stelle dal firmamento cadute in terra,
vidi brillare,
sprazzi di luci intermittenti
che il sole,
fattosi rapire dalla sera,
le avea lasciato in dono
raggi di lacrime lucenti,
che tramutò in lucciole,
per una notte estiva.



Anna Giordano
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Agonia

Repentine
nuvole assassine
soffocarono il giorno
e mentre il sole moriva
pareva di sangue il cielo.


Anna Giordano
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Gemma di vita

Eccola!
È qui
sul dorso della mano,
gemma di vita.

Venuta da lontano,
smarrita,
un po’ stordita.

Nella sua folle corsa verso il mare,
spinta dalla sua forza
unita alle altre gemme,
per ritornare al luogo
da dove era partita.

Sul suo cammino,
ha baciato
rocce,
sentieri e ciottoli,
prima di giungere a me.

Il suo destino fermo
su questa mano.
Cercava l’inizio
ed ha trovato la fine.

Ignoro
come farla proseguire!

Guardo la gemma
che
abbaglia la mia vista,
invita le mie labbra a baciarla
e…
la  goccia tremante,
in bocca si scioglie.

Anna Giordano
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Pettirosso


Pettirosso sul ramo innevato…
cerca il cibo e chiccola.

Non so se canta
per gioia
o per paura della coltre bianca
che nella morsa di gelo
l’attanaglia.

Mi guarda
con l’occhio vispo
sperduto nel candore della luce.

Sembra di stargli più vicino,
lo stringo forte nel mio cuore!
Forse
avrà più caldo.

 Anna Giordano
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Terremoto

Un attimo e luce non fu
le tenebre rimasero impaurite
e ancor più scura tinsero la notte.

Le grida scossero il sonno
dopo il boato
urlo della terra incollerita.

Ferite che squarciano l’esistenza
intorno macerie sparse…

La morte
si beffa della vita
che piange la sua sorte.

Anna Giordano
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Madonna Estate

Le ho aperto il balcone
ed è entrata
vestita di foglie e fiori.

Biondi i capelli
come spighe
ondeggiano al soffio
della dolce brezza.

Sulle sue spalle
un manto azzurro
e i piedi scalzi
bagnano nel ruscello.

Lo sguardo suo
dorato e caldo
acceca come il sole.

Le stelle sopra il capo
disegnano
un diadema.

 Il suo profumo
“Fior di giardino”
 olezza nell’aria
 sin dal mattino.

È giunta, è giunta
è finalmente giunta
Madonna Estate.
  
Anna Giordano
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Meraviglia

Lo sguardo si sveglia
apre gli occhi e contempla
il sole abbracciare la terra.

Meraviglia
i campi verde bottiglia
di un’erba gentile e tremante
al respiro del giovane aprile.

Meraviglia
tra i cuori di foglie le viole,
gli uccelli intenti a cantare
nidificano il canto in amore.

Meraviglia
il bianco ciliegio,
contrasta
col rosa del pesco
le primule d’oro
i myosotis color cielo
occhieggiano fra i teneri ciuffi
di erba e foglie marcite.

Rimesto d’odori e colori
sorprendono i sensi ogni volta.

E la natura si sveglia
e la scintilla s’accende
illumina l’anima e il cuore…
di  meraviglia.


Anna Giordano