IL PREZZO DA PAGARE
In un grande prato verde, un grillo si confondeva col suo colore. Le sue
zampette uncinate, s’aggrappavano agli esili fili d’erba che fungevano da
liane. Poco distante c’era una margherita, che aveva appena aperto la sua
corolla bianca ai raggi del sole che la riscaldava. Il grillo stava per
spiccare un salto per raggiungerla, quando frenò il suo slancio poiché fu
preceduto da una stupenda farfalla che gli prese il posto, coprendo con le sue
ali fragili e variopinte, tutto il fiore.
Il grillo soggiogato dalla sua eleganza e bellezza, rimase ad ammirare la
sua livrea che, nel suo insieme, sembrava un bouquet multicolore che irrompeva
nella quasi monocromia del verde prato.
Le sue ali come leggeri ventagli, s’agitavano permettendole di fare di
tanto in tanto surplace, le sue zampine fragili sottolineavano ancor di più
l’eleganza della sua bellezza.
Dopo un breve riposo, sul cuore giallo della margherita, la farfalla spiegò
le sue belle ali e si levò in volo. Il grillo che era rimasto nascosto ad
ammirarla, si specchiò in una goccia di rugiada e, amaramente, si rese conto
del suo aspetto che differiva molto da quello della bellissima farfalla. Poi,
fra sé e sé disse:
“ La natura però è ingiusta, io così brutto, con un naso che prende tutta
la faccia, e due occhi sbozzolati dalle orbite e ricoperti da due piccole
persiane, con un corpo grosso e goffo su due zampe lunghe e mingherline come
trampoli pieghevoli, e come se non bastasse, le ali, sì perché ci sono le ali che sono nascoste, talmente sono brutte,
sotto due code obsolete di un vecchio frac. Senza dimenticare questo colore è
quasi sempre verde o marrone, tanto da farmi confondere con i campi, così
nessuno mai si accorgerà che esisto!”
Intanto, la farfalla volava, col sole che le illuminava le ali, quando un
signore che camminava sul bordo del campo, munito di un retino, attirò
l’attenzione del grillo che smise di borbottare per guardare l’uomo che, a
lunghi passi, aveva già raggiunto la farfalla.
Spensierata la povera sprovveduta, volteggiava nell'aria. Il grillo rimase
nascosto mimetizzandosi fra l’erba e impotente, assistette alla cattura della
bella farfalla che, finita prima nel retino e poi nelle mani dell’uomo, subì un
orribile destino. Il suo gracile corpo fu trafitto da un abominevole spillo e
con cura, fu deposto, ancora agonizzante, in una scatola. Il
povero grillo atterrito da tanta crudeltà, suo malgrado, si sentì pervaso da un
senso di contentezza per essere stato creato così come era da madre natura, e
pensò che infondo, non essere troppo belli per lui non era stato uno
svantaggio. Quel che era accaduto alla farfalla gli aveva fatto capire che per
tutto c’era un prezzo da pagare, anche quello della bellezza che, a volte,
trasforma in oggetto del desiderio chi la possiede e suscita gelosia ed invidia
in coloro, che come il grillo, non si accettano per come sono.
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VITA IN PAESE ( Primo episodio)
Il bar del Nobile era l’unico bar del paese. Il suo proprietario, che vestiva con raffinata eleganza, aveva un aspetto distinto e il suo modo di parlare lo caratterizzava perché la sua erre sembrava che rotolasse sul sapone. In armonia con gli amici lo aveva battezzato proprio così: il bar del Nobile. Era il luogo di ritrovo di tutti, amici e non. Era
solevano riunirsi lì dopo il lavoro, ad orario fisso, e parlavano del più e del meno.
« Occhio Fino, ma sono i miei occhi oppure quel camion che sta giungendo, non ha l’autista ?»
Occhio Fino rispose: « Ma proprio a me lo chiedi, io vedo il camion, mi sembra che l’autista ci sia, o no ?»
Il Professore che volgeva le spalle alla strada erta, domandò di quale camion stessero parlando, il Cancelliere rispose: « Quello che, se non ci togliamo di qui ci viene addosso. Non c’è l’autista !»
Il Professore scattò dalla sua sedia in piedi, guardò il camion che avanzava in loro direzione e gridò:
«Nessuno a bordo! »
Tutti si buttarono a terra, sul lato del giardinetto, quando, a loro sorpresa il camion si fermò.
Lentamente cigolando, si aprì la portiera e ne uscì fuori un ragazzo, all'incirca delle loro età, alto non più di m.1.40 , baffi curati, indossava una tuta verde, che era stata accorciata conservando tutta l’ampiezza, tanto da fare uscire appena, le scarpe nere a punta tonda sulle quali poggiava sopraelevato da due tacchi di circa 5 centimetri . Non era un nano, sembrava più un bambino che non un adulto.
Salutò tutti con un: « Salve !»
I tre amici che nel frattempo si erano alzati, cercavano di darsi un contegno, spazzolandosi i pantaloni.
Imbarazzato, il Professore avanzò verso di lui tendendogli la mano e disse:
Anna Giordano
La notte più lunga
- Serata bellissima, grazie per la cena.
- Figurati, sappi che ora tu mi devi una cena.
- No problem! Comunque chiamami in ufficio, domani per iniziare
andremo nella pausa di mezzogiorno in spiaggia a prendere un po’
di sole e ti offrirò un panino…
- Ok ciao.
- Ciao Andrea.
La porta si chiuse alle spalle di Anna… per riaprirsi dopo alcune ore, sotto lo stupore dei suoi occhi.
Dopo essersi infilata in un accappatoio, sbirciò in strada per capire se si fosse sbagliata nel regolare la sveglia.
Eh no, non era la sola a guardare davanti al proprio uscio,
erano tutti là, a strofinarsi gli occhi; c’era persino
Dopo essersi infilata in un accappatoio, sbirciò in strada per capire se si fosse sbagliata nel regolare la sveglia.
Eh no, non era la sola a guardare davanti al proprio uscio,
erano tutti là, a strofinarsi gli occhi; c’era persino
qualcuno che si faceva pizzicare per sapere se stesse sognando.
Erano le nove e a conferma: l’orologio della piazza lo precisò con nove rintocchi… ma il sole non era presente, non era ancora sorto.
Anna corse ad indossare qualcosa e scese in strada a domandare se qualche buontempone non avesse fatto uno scherzo manomettendo l’orologio della piazza.
Era assurdo, la luna e le stelle brillavano come la sera precedente.
Anna fermò qualcuno e domandò l’ora.
No, non si era sbagliata, erano ormai le 9:30, ne parlavano anche alla radiolina di un ragazzino che, anche lui, era uscito in strada. Erano le nove e a conferma: l’orologio della piazza lo precisò con nove rintocchi… ma il sole non era presente, non era ancora sorto.
Anna corse ad indossare qualcosa e scese in strada a domandare se qualche buontempone non avesse fatto uno scherzo manomettendo l’orologio della piazza.
Era assurdo, la luna e le stelle brillavano come la sera precedente.
Anna fermò qualcuno e domandò l’ora.
Anna si precipitò in casa accese subito la televisione, per vedere il telegiornale, infatti, tutte le reti parlavano del fenomeno; nel mondo intero era notte, il sole illuminava solo la luna che, come l'interruttore della sua camera, era rimasta accesa la spia notturna.
Gli studiosi non riuscivano a dare una risposta allo strano fenomeno,
brancolavano nel buio assoluto, ipotizzando eclissi inspiegabili e cercavano di dare spiegazioni le più svariate che risultavano del tutto stravaganti.
La gente incredula quanto atterrita, aspettava che il giorno arrivasse da un momento all'altro. Le ore passavano e l’angoscia prese
La gente incredula quanto atterrita, aspettava che il giorno arrivasse da un momento all'altro. Le ore passavano e l’angoscia prese
il posto della speranza…
Squillò il telefono, Anna rispose. Era Andrea, aveva cercato di raggiungerla più volte, ma le linee erano intasate e non vi era riuscito
Squillò il telefono, Anna rispose. Era Andrea, aveva cercato di raggiungerla più volte, ma le linee erano intasate e non vi era riuscito
prima delle 19:00.
I due si scambiarono le loro ansie e supposizioni sul fenomeno che stavano vivendo, senza trovare una risposta, un perché, così, cercarono d’incoraggiarsi a vicenda.
I due si scambiarono le loro ansie e supposizioni sul fenomeno che stavano vivendo, senza trovare una risposta, un perché, così, cercarono d’incoraggiarsi a vicenda.
In tutte le TV del mondo, non si parlava che dell’accaduto e delle ripercussioni che ne erano scaturite. Nessuno era andato a lavorare, tutto si era paralizzato, ognuno era rimasto a casa con la famiglia, anche le rappresaglie in Medio-Oriente erano cessate, e non erano le sole.
In molti pregavano implorando di potersi alzare l’indomani e
In molti pregavano implorando di potersi alzare l’indomani e
vedere di nuovo il sole, ma l’indomani giunse e nulla cambiò se non la temperatura che era scesa sotto lo zero, in piena estate.
L’angoscia non diminuiva e ognuno iniziò a farsi un esame di coscienza, domandandosi, cosa avesse fatto di male per meritarsi un tale castigo.
La cosa strana era che, ogni persona cercava di darsi una risposta, esteriorizzando le proprie supposizioni, in famiglia, oppure parlandone col vicino di casa, con gli amici.
Man mano che ne parlavano, scoprivano di avere tutti in comune una cosa, quella di avere vissuto sempre, agendo quasi da immortali, pur essendo consapevoli di dover morire.
Avevano accumulato beni, avevano cercato a tutti i costi di conservare per sé, anche a discapito degli altri, beni senza farsi scrupoli. Possedere era la parola chiave.
La cupidigia si era impossessata di loro, non c’era più altruismo, occupava il suo posto l’egoismo, a discapito della cosa più preziosa, alla quale avevano dato poca importanza: “ La vita e l’amore ”.
Ormai da due giorni vivevano senza il sole, le guerre, anche le più piccole, si erano fermate e tutti ridivenuti più umani… analizzavano la propria coscienza.
Guardandosi dentro iniziarono a valutare la loro esistenza, tutto era
oscuro, ma pian piano uno spiraglio di luce, iniziò ad infiltrarsi e ad illuminare il senso vero, della loro vita.
Era bastata la paura di perderla, per rendersi conto della sua
importanza.
oscuro, ma pian piano uno spiraglio di luce, iniziò ad infiltrarsi e ad illuminare il senso vero, della loro vita.
Era bastata la paura di perderla, per rendersi conto della sua
importanza.
Accecati dal loro egoismo che trasformatosi in notte, aveva coperto il loro sguardo.
Così, il sole pian piano riprese il posto nel cielo d’ogni persona che aveva saputo riconoscere i propri errori, infiltrandosi con i suoi raggi aprì spiragli di speranza nella notte che li abitava.
Anna Giordano
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Il computer di Martino
Martino era un bambino molto svogliato. A scuola tutti lo deridevano perché era l’ultimo della classe.
Troppe volte sbagliava i compiti, quello che a lui interessava era il suo migliore amico: il computer.
Un giorno, mentre stava giocando, accadde una cosa stranissima …
a sua sorpresa, vide uscire dallo schermo tante lettere che si tenevano per mano.
Strabiliato, cercò di afferrarne una, per vedere se era solo la sua immaginazione, ma la lettera A, gridò forte: “Ahiii, mi fai male!”
Martino rimase ancora più sorpreso nel sentirne la voce.
Con molta reticenza e con un po’ di paura, cercò di afferrare la lettera M che, rivolgendosi a lui disse: “Ma cosa fai, stai attento a non rompermi una gamba!”
Martino sempre più sorpreso domandò:
“ Ma siete vere?”
Le lettere risposero in coro: “Sì certo, siamo uscite dallo schermo per dirti di lasciarci un po’ in pace.”
“Io non ho fatto nulla,” rispose, “come in pace?”
“Tu non fai altro che metterci nel posto sbagliato, ancora non sai né parlare e né scrivere, faresti bene di prendere un libro e imparare, al posto di giocare sempre; con il computer si fa anche altro, ad esempio, studiare!”
“Studiare? Non ci penso nemmeno!” Replicò Martino, ridendo.
“Ecco, vedi? Abbiamo ragione noi! Siamo qui per toglierti la parola, fin quando non saprai scrivere e parlare correttamente.
Le lettere fecero un girotondo componendo una frase:
“Finché tu non studierai resterai privo di lettere e consonanti!”
Martino riuscì a leggere appena, che tutte le lettere rientrarono nel pc, poi si mise a ridere, ma dalla sua bocca non usciva nessun suono, pensò che per un momento le sue orecchie si fossero otturate. Si mise davanti allo specchio e cercò di pronunciare una parola, che non uscì, gridò forte dalla paura, ma anche questa volta nessuno lo sentì; iniziò a piangere e le lacrime uscivano silenziose, senza che un lamento le accompagnasse.
Martino corse al pc e con il pensiero pregò le lettere d’uscire di nuovo, ma nulla accadde.
Allora prese carta e penna per scrivere, ma neppure sulla carta la penna lasciava traccia di quello che scriveva.
Disperato uscì in strada, pensando che era solo uno scherzo di qualcuno, fermò un suo compagno di scuola e quando gli parlò, nessun suono la sua bocca pronunciò.
Il suo compagno lo guardò e conoscendolo, disse: “ Sei sempre il solito burlone!”
Martino capì che, l’unica cosa che gli restava da fare era di mettersi a studiare.
Corse in camera, prese la grammatica ed iniziò a leggere le regole, imparò a memoria i verbi, sfogliò le pagine del suo computer, solo per apprendere e non giocare.
Poi, con la mente, recitò quel che aveva imparato, studiò la storia che fino a quel momento non aveva mai appreso, cercò di mettere alla prova il suo sapere, ponendosi delle domande, ma ancora non sentiva la sua voce; cercò di scrivere, ma ancora niente, erano ormai passati molti giorni e la speranza di ritrovare le lettere dell’alfabeto rimase vana.
Martino in lacrime accese il pc, sperando che le lettere avessero pietà di lui …
La notte arrivò e lui, stanco, si addormentò davanti allo schermo acceso del computer.
Quando la mattina si svegliò, sullo schermo del pc trovò la scritta: “ Prova a scrivere”
Martino subito prese un foglio bianco e come vi poggiò la penna sopra, iniziò a vedere le lettere che scriveva.
Finalmente era stato premiato per i suoi sforzi. Un grido di gioia uscì dalla sua bocca, anche la voce era ritornata, che gioia! Poteva di nuovo parlare e scrivere.
Da quel giorno, i compagni di classe non lo presero più in giro e Martino capì quanto fosse importante studiare.
Anna Giordano.
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Il sogno e la volontà
Un giovane pescatore che
viveva in un piccolo, quanto povero borgo marinaro, era giunto al suo ventesimo
anno di età.
Sin da quando era bambino,
aveva sentito parlare, tramite suo nonno, anche lui pescatore, di un pesce
d’oro al quale aveva dato sempre la caccia, ma senza esito.
Era cresciuto con il
desiderio di riuscire a pescare quello che suo nonno per una vita intera, non
era riuscito a catturare.
Il nonno gli aveva
raccontato del pesce d’oro, ma non gli aveva dato tanti particolari per poter
tracciare una rotta da seguire ed orientare la sua ricerca; anche se non era
mai riuscito a trovarlo, aveva continuato a inseguire il suo sogno, pur se non
aveva messo in atto mai un piano per sviluppare la sua ricerca.
Il giovane pescatore,
dopo aver fatto il punto della situazione, si decise di partire alla ricerca
del pesce d’oro. Sapeva che non sarebbe stata cosa facile, il mare non era una
pozzanghera, la sua immensità, comunque, non lo scoraggiò e neppure la famiglia
riuscì a farlo cambiare idea, lui aveva deciso e la sua volontà di proseguire
il suo progetto lo fece diventare sordo alle parole di persuasione da parte dei
suoi familiari.
Tutti gli ripetevano che
la sua impresa era impossibile perché il
pesce d’oro non esisteva. Suo nonno, che
pur essendo un lupo di mare, non era
riuscito in tanti anni a catturarlo e tutto quel che aveva pescato in oro, si
definiva con una sola ed unica parola: “Nulla”!
Il giovane quasi si turava
le orecchie pur di non farsi
scoraggiare, non ascoltava nessuno se non il suo sogno.
La sua assoluta
caparbietà l’ebbe vinta su tutto e inoltre, riuscì a convincere il proprietario
di un peschereccio, ben più grande del suo, a prendere il largo insieme a lui
per cercare il pesce d'oro.
Passarono giorni, dopo
giorni. Navigarono per mari e oceani, in cerca di un pesce, ormai inesistente.
Il proprietario del peschereccio,
sfiduciato infierì sul povero pescatore sognatore.
Così, dopo una lite si
misero d’accordo che sarebbero rientrati, non senza malcontento da parte del
giovane che avrebbe voluto continuare la sua ricerca. Col cuore scuro che gli
stringeva in petto, diede il cambio al timone, al proprietario del peschereccio
improntando la rotta verso casa.
Avevano perso troppo
tempo e il giovane pescatore, propose al proprietario del peschereccio, di
buttare le reti, per non tornare a mani
vuote, magari pescare almeno del pesce normale!
Quelle acque erano conosciute
per essere ricche di fauna marina.
Mancava un giorno al
rientro e le reti dovevano sicuramente essere piene, quando iniziarono a tirarle a
bordo, a loro grande stupore, videro che le reti erano tese, pensarono che ciò
fosse dovuto al peso del pesce che contenevano.
Provarono a tirare le
reti su pian piano con la carrucola, ma non ci riuscirono.
Le reti erano tese sempre
più, così per non romperle, il giovane pescatore
decise di andare a vedere cosa stesse succedendo sott’acqua.
Si tolse la maglia e i
pantaloni, si tuffò sprofondando nell’abisso. Dopo una breve attesa, il
proprietario del peschereccio lo vide risalire.
Faceva dei grandi gesti,
chiese di essere tirato su, i suoi occhi brillavano dalla gioia e non riusciva
a parlare; incuriosito, il padrone del peschereccio domandò cosa avesse visto e
il pescatore gli rispose che la rete si era impigliata in un vecchio galeone
che giaceva sul fondale, la cui polena in forma di pesce era tutta in oro. Il
giovane dopo aver ripreso le forze si rituffò portando con lui una fune.
Aveva deciso di tirare la
polena a bordo e di legare una boa al galeone per segnalarne la posizione, magari
potevano esserci altri tesori nascosti al suo interno, ma quel che interessava
al giovane pescatore per il momento era solo il pesce d’oro. Quando l’ebbe
legato bene alla fune, diede uno strappo alla corda come segnale per il suo
compagno di rotta, il quale mise in
funzione la carrucola e tirò su la polena. Non credeva ai suoi occhi quando vide
uscire dall’acqua il pesce d’oro del galeone sommerso.
Finalmente il sogno di
una leggenda, in cui nessuno voleva credere, aveva dato i suoi frutti. Il
giovane pescatore rientrò al piccolo
borgo con il tesoro, lasciando a bocca aperta tutti coloro che lo avevano
deriso e scoraggiato, per fortuna era stato ripagato dal suo impegno nel
cercare qualcosa di cui era convinto fermamente, ma che tutti definivano
soltanto un sogno che era diventato, pertanto realtà.
Anna Giordano
28/01/2009
Anna Giordano
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La morte del desiderio
Giunse alla fermata del bus affannata. Maria, non poteva mancare certo l'appuntamento che aveva atteso da anni. Salì sul bus che l'avrebbe portata in meno di mezzora al centro. Finalmente avrebbe incontrato la persona che l'aveva messa al mondo.
Maria viveva dall'età di due anni, con la famiglia che l'aveva adottata. Non che si trovasse male, anzi, era amata e coccolata da tutti, ma il suo pensiero rincorreva sovente il desiderio di conoscere il perché del suo abbandono da parte di colei che le aveva donato la vita.
Era riuscita tramite internet ed alcuni suoi amici a rintracciare sua madre naturale che viveva a cinquanta chilometri dalla città in cui abitava. Senza far parte delle sue intenzioni alla famiglia adottiva, era riuscita a scrivere a sua madre numerose mail supplicandola d'incontrarla, lei, anche se reticente, aveva accettato...
Se ne stava nel suo angolo in fondo al bus Maria. Immersa nei pensieri, immaginando su come avrebbe affrontato sua madre, se l'avesse riconosciuta perché magari le somigliava, oppure se l'avesse abbracciata o solo guardata, quale sarebbe stata la sua reazione nel vederla...? Immersa nei vortici dei suoi pensieri fu distolta da una signora che le domandò se poteva sedersi. Maria la guardò con occhi straniti, come se si fosse appena svegliata, poi guardò l'orologio, erano trascorsi venti minuti da quando era salita sull'autobus; scusandosi tolse il libro che occupava il posto accanto al suo e con un gesto meccanico lo pose sulle sue ginocchia. La signora si mise a sedere, diede un'occhiata, al titolo del libro e poi a lei, che già era ripiombata nei suoi pensieri, estraniandosi.
Mancava più che una fermata, e poi Maria sarebbe scesa. Il tempo trascorreva velocemente e il suo cuore batteva sempre più forte, avrebbe voluto fermare le lancette per prendere fiato, irrequieta arrotolò il piccolo libro, la signora la fissava, e a sua volta sembrava essere contagiata dalla sua irrequietezza. Infatti, anche lei attorcigliava le sue dita come se avesse voluto fermare quelle di Maria che torturavano il libro. Di colpo, il bus si fermò. Una donna era stata appena investita, aveva annunciato l'autista del bus.
Mancavano pochi metri dalla fermata tanto attesa, Maria attraversò il lungo corridoio per raggiungere l'autista al quale chiese di scendere, la signora che le stava accanto e altre tre persone fecero la stessa cosa.
"Pochi metri ancora e l'avrebbe incontrata" pensava tutta eccitata Maria.
Il cuore le batteva in gola fino a farle mancare il respiro, correva per paura di arrivare tardi brandendo quel piccolo libro nella mano destra, per farsi riconoscere, ma una scena straziante si aprì ai suoi occhi. Una donna riversa a terra senza vita volgeva lo sguardo al cielo. Maria ebbe un brivido lungo la schiena, girò lo sguardo, per non incontrare quello gelido della morte.
La signora che stava con lei sul bus, profittò della sua disattenzione per lasciare cadere accanto alla borsa della donna investita, un libro...
Maria, ripresasi dallo sgomento, si girò per continuare la sua corsa, ma fu attratta dal libro che si trovava vicino alla borsa della vittima. Il suo respiro si bloccò, tutta la sua ansia si tramutò in tremolio, si avvicinò alla borsa della donna morta e con mano tremula, raccolse il libro, quello, che le avrebbe unite.
Un pensiero di rabbia le attraversò la mente: "Il destino si era ancora una volta beffata di lei."
Due lacrime rigavano le guance diafane, che fino a poco prima erano rosse e vive.
Guardò ancora una volta il volto e gli occhi della donna. Un nugolo di curiosi si era formato intorno a lei e la sirena dei mezzi di soccorso annunciava il loro arrivo.
Maria furtivamente arrotolò il libro intorno al suo, stringendoli l'uno intorno all'altro come in un mancato abbraccio, li strinse sul petto ed in silenzio si allontanò ...
Maria viveva dall'età di due anni, con la famiglia che l'aveva adottata. Non che si trovasse male, anzi, era amata e coccolata da tutti, ma il suo pensiero rincorreva sovente il desiderio di conoscere il perché del suo abbandono da parte di colei che le aveva donato la vita.
Era riuscita tramite internet ed alcuni suoi amici a rintracciare sua madre naturale che viveva a cinquanta chilometri dalla città in cui abitava. Senza far parte delle sue intenzioni alla famiglia adottiva, era riuscita a scrivere a sua madre numerose mail supplicandola d'incontrarla, lei, anche se reticente, aveva accettato...
Se ne stava nel suo angolo in fondo al bus Maria. Immersa nei pensieri, immaginando su come avrebbe affrontato sua madre, se l'avesse riconosciuta perché magari le somigliava, oppure se l'avesse abbracciata o solo guardata, quale sarebbe stata la sua reazione nel vederla...? Immersa nei vortici dei suoi pensieri fu distolta da una signora che le domandò se poteva sedersi. Maria la guardò con occhi straniti, come se si fosse appena svegliata, poi guardò l'orologio, erano trascorsi venti minuti da quando era salita sull'autobus; scusandosi tolse il libro che occupava il posto accanto al suo e con un gesto meccanico lo pose sulle sue ginocchia. La signora si mise a sedere, diede un'occhiata, al titolo del libro e poi a lei, che già era ripiombata nei suoi pensieri, estraniandosi.
Mancava più che una fermata, e poi Maria sarebbe scesa. Il tempo trascorreva velocemente e il suo cuore batteva sempre più forte, avrebbe voluto fermare le lancette per prendere fiato, irrequieta arrotolò il piccolo libro, la signora la fissava, e a sua volta sembrava essere contagiata dalla sua irrequietezza. Infatti, anche lei attorcigliava le sue dita come se avesse voluto fermare quelle di Maria che torturavano il libro. Di colpo, il bus si fermò. Una donna era stata appena investita, aveva annunciato l'autista del bus.
Mancavano pochi metri dalla fermata tanto attesa, Maria attraversò il lungo corridoio per raggiungere l'autista al quale chiese di scendere, la signora che le stava accanto e altre tre persone fecero la stessa cosa.
"Pochi metri ancora e l'avrebbe incontrata" pensava tutta eccitata Maria.
Il cuore le batteva in gola fino a farle mancare il respiro, correva per paura di arrivare tardi brandendo quel piccolo libro nella mano destra, per farsi riconoscere, ma una scena straziante si aprì ai suoi occhi. Una donna riversa a terra senza vita volgeva lo sguardo al cielo. Maria ebbe un brivido lungo la schiena, girò lo sguardo, per non incontrare quello gelido della morte.
La signora che stava con lei sul bus, profittò della sua disattenzione per lasciare cadere accanto alla borsa della donna investita, un libro...
Maria, ripresasi dallo sgomento, si girò per continuare la sua corsa, ma fu attratta dal libro che si trovava vicino alla borsa della vittima. Il suo respiro si bloccò, tutta la sua ansia si tramutò in tremolio, si avvicinò alla borsa della donna morta e con mano tremula, raccolse il libro, quello, che le avrebbe unite.
Un pensiero di rabbia le attraversò la mente: "Il destino si era ancora una volta beffata di lei."
Due lacrime rigavano le guance diafane, che fino a poco prima erano rosse e vive.
Guardò ancora una volta il volto e gli occhi della donna. Un nugolo di curiosi si era formato intorno a lei e la sirena dei mezzi di soccorso annunciava il loro arrivo.
Maria furtivamente arrotolò il libro intorno al suo, stringendoli l'uno intorno all'altro come in un mancato abbraccio, li strinse sul petto ed in silenzio si allontanò ...
Anna Giordano
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Il SIGNORE DELLA PIANURA.
«Sulle
sue rive giaceva, vinto dalla stanchezza, Khaled. Aveva lavorato tutto il giorno
alla costruzione della piramide di Cheope. Il sole cedeva il posto alla sera, la
luna s’alzava nel cielo mentre lo salutava, pallida avanzava timidamente e
rischiarava le acque del Nilo,“il Signore della pianura,” che serpeggiava nella
valle tra le piramidi; il grano alto e biondo sussurrava una ninna nanna suonata
dal vento fra le sue spighe».
*****
Oriana era giunta in Egitto soltanto da un giorno e la prima
escursione l’aveva già immersa nella sua storia antica; la scena appena descritta dalla guida l’aveva rapita. Sentiva sua quella storia di vita quotidiana scolpita
e dipinta su una parete della piramide in cui si trovava. Ne era estasiata.
Aveva sempre sognato, sin da bambina, di visitare quel paese
culla di una delle più antiche civiltà.
Insieme alla sua amica Flavia, dopo due anni d’economia, era
finalmente riuscita a realizzare le sue vacanze da sogno, senza doversi privare
di alcun piacere. I piedi poggiati sulla sabbia del deserto, gli odori d’antico,
misti a muffa, salivano in superficie dalle cavità della piramide, trasmettendole
una strana sensazione, come fosse già stata in quei luoghi e avesse già vissuto
quei momenti. Come flash back le immagini sfilavano davanti agli occhi. Momenti
come sogni…
Pensò che tutto ciò dipendesse dal fatto che avesse letto
tanto sull’Egitto, e che ne fosse involontariamente rimasta soggiogata a tal
punto, da non sentirsi estranea ai luoghi.
Rientrando
in hotel domandò alla sua amica come avrebbe voluto passare la serata, poiché
era la prima sera che passava insieme a lei sul suolo egiziano e in più, in quella
meravigliosa città del Cairo. Flavia era un po’ stanca e sarebbe rimasta
volentieri in camera, ma per non smorzare l’enfasi che illuminava gli occhi d’Oriana,
rispose dicendole di scegliere lei quello che voleva fare. Oriana non se lo
fece ripetere e decisa, disse:
«Bene,
dopo una bella doccia ci vestiamo e andiamo a cena fuori»!
«Aspetta,»
replicò Flavia,
« Non
vuoi mica uscire di sera e per giunta da sole, in una città come il Cairo di
cui non conosciamo nulla» Oriana si soffermò a guardarla, sorpresa per la sua
reazione rispose:
«non
preoccuparti, lascia fare me, non avrai paura della notte»?
«no,
non ho paura della notte, ma di chi si può incontrare».
« Non
preoccuparti domanderò alla reception un luogo sicuro in cui passare la serata,
dai sbrighiamoci altrimenti facciamo tardi e domattina saremo stanche per
l’escursione»!
«Ma
sei una fonte di energia non so se arriverò a seguirti». Aggiunse sorridendo
Flavia.
Dopo
poco tempo…
«Che
bello»! Esclamò Oriana, estasiata dalla veduta sulla città del Cairo, che
illuminata da mille luci, giaceva ai piedi dell’Hyatt Hotel, sulla cui torre,
il ristorante su piattaforma girevole le permetteva di ammirare il panorama a
trecentosessanta gradi.
«Meraviglia
di meraviglie, ma è da mozzafiato questo panorama e poi mi sento così vicino
alle stelle …» Gli occhi fecero il giro dell’orizzonte e si posarono senza
volerlo, in due occhi che la guardavano con ammirazione, quelli d’uno
sconosciuto seduto al tavolo poco distante dal loro, uno sguardo profondo e
scuro, che si fuse con l’intenso blu degli occhi d’Oriana; turbata sussurrò fra
i denti a Flavia:
2
«Non
mi è mai successo d’incrociare uno sguardo e dimorarvi senza avere la forza di
staccarmene», Flavia si girò per vedere lo sconosciuto, stava parlando col
cameriere, poi si rigirò…
« Bel
tipo, ha degli occhi di brace, ti sta ancora osservando»?
«Sì,
ma non diamogli retta, è come una calamita mi attrae».
«Lo
credo bene»! Esclamò sorridendo Flavia.
Il
cameriere si avvicinò a loro, portando su un vassoio una rosa bianca,
accompagnata da un bigliettino da visita, Oriana lo guardò sorpresa,
volgendogli uno sguardo interrogativo. Il cameriere accennò col capo un mezzo
inchino, e con gli occhi la invitò ad accettare. Lei prese il bigliettino e la
rosa, che istintivamente portò al naso, la odorò, poi guardò lo sconosciuto ed arrossì.
«Che
idea, accettare questa rosa». Disse sottovoce quasi come un rimprovero a se
stessa, guardò il biglietto e stranamente la frase era in italiano, stupita lesse
in silenzio: “Anche se l’azzurro del Nilo è stato oscurato dalla notte, ho
visto brillare due gocce azzurre come le sue acque, che neppure la notte è
riuscita ad oscurarne la loro lucentezza.”
Con il viso purpureo, confusa da tanta poesia, non sapeva se
alzare i suoi occhi che ancora guardavano per terra, quando, vicino al tavolo
comparvero due scarpe nere e lucide, spiccavano sotto i pantaloni di lino
bianco.
Il cuore le batteva in gola e lentamente la testa seguì gli
occhi fino ad incontrare lo sguardo profondo e scuro come l’inchiostro, del suo
ammiratore.
«Permette»?
Domandò lo sconosciuto.
Frastornata
Oriana guardò Flavia che, a sua volta, la guardava come per dirle: “rispondi.”
« Se permette, vorrei spiegarle il mio gesto».
Continuò lo sconosciuto; lei rispose in automatico:
« Prego».
Come se fosse caduta in trans, era quella l’impressione che dava di lei.
Stava
succedendo qualcosa di stranissimo, anche se non capiva cosa, sembrava che
stesse vivendo una situazione non nuova, sì, proprio il classico “déjà vu.”
Lo
sconosciuto, riprese a parlare dicendo:
« Permette
che mi segga»?
«sì
prego». Disse lei confusa.
« Mi
presento: Khaled Sanghen, egiziano».
« Piacere:
Oriana Gladi, italiana e lei è la mia amica Falvia Tarbi».
«Siete
qui per vacanze, immagino».
«Sì».
Disse Flavia.
Oriana
la interruppe domandando allo sconosciuto:
« Come
mai parla così bene l’italiano»?
«Parlo
cinque lingue e poi il nostro paese ha degli ottimi rapporti col vostro,
sovente gli affari ci obbligano a parlare più lingue, se non vogliamo rimanere tagliati
dal resto dei mercati mondiali». Erano appena tre minuti che parlava con lo
sconosciuto ed aveva già appreso tante cose sulla sua vita, si sentiva
affascinata dalla sua eleganza nel modo di porsi, oltre alla sua bellezza…
Khaled
continuò dicendo:
«Vi
tratterrete per molto tempo»?
Oriana
disse no, Flavia sì, si guardarono e scoppiarono a ridere coinvolgendo anche
lui che le guardava divertito, Oriana riprese:
«No,
vede, noi siamo qui da un giorno e dipende cosa s’intende per molto, si vede
che io e la mia amica, abbiamo due visioni differenti del tempo che passeremo
qui, poiché per lei quindici giorni sono sufficienti per vedere tutto quello
che c’è, mentre per me non basterebbe una vita per scoprire il suo paese».
« Se
a voi fa piacere posso mettere a vostra disposizione la mia auto con il mio
autista per farvi girare i posti più belli della città». Propose Khaled, ma Flavia
intervenne tempestivamente:
3
« Lei
è molto gentile, ma abbiamo già prenotato per l’escursione e vedo che si è
fatto anche tardi, domattina partiamo alle sei per le piramidi di nuovo, oggi ne
abbiamo visitato solo una parte».
«Bene,
allora permettetemi d’invitarvi a cena, domani sera, se vi fa piacere, in un
altro ristorante per farvi gustare la cucina locale».
Oriana
disse subito:
«sarà
con piacere, vero Flavia»? E le toccò il piede sotto il tavolo per farla
accettare.
«Sì,
va bene anche per me». Aggiunse con un sorriso forzato.
Poi
si alzò e salutò Khaled, Oriana stava per seguire la sua amica, quando, fu
fermata da Khaled, le prese la mano, s’inchinò e vi avvicinò le sue labbra
senza toccarla, un baciamano di cui ella sentì solo il respiro caldo sfiorarle
la pelle, poi si guardarono e le ultime parole di lui furono:
«Buona
notte a domani, goccia del Nilo».
Appena
giunsero in hotel, Flavia, che non aveva detto nulla durante il tragitto in
taxi, con un tono quasi seccato disse a Oriana:
« Ma
vuoi dirmi cosa ti è preso nell’accettare l’invito a cena da parte di uno
sconosciuto»? Oriana rispose che non era più uno sconosciuto, aveva il suo
bigliettino da visita, la rosa e il ricordo del suo sguardo…
«Ma
non puoi essere sicura che sia una persona rispettabile e di cui ci si può
fidare, non sai nulla di lui se non, che parla cinque lingue ed è ingegnere».
«Vero,
ma è come se lo conoscessi da sempre, è una sensazione che non so spiegarti, ma
è così credimi».
«Oh,
lascia stare, tanto non mi convinci, sai»?
«Va
bene, va bene, domani telefono e disdico così sarai contenta».
«No,
puoi andarci ma non contare che io ti accompagni».
«Va
bene ci andrò da sola buona notte».
Con
rabbia girò le spalle e chiuse la porta che divideva le due stanze. Oriana non
si era mai bisticciata con la sua amica, era arrabbiata per averlo fatto per
una ragione poi così stupida, una volta a letto ebbe difficoltà ad
addormentarsi…
I
raggi del sole filtrarono attraverso le tende solleticandole gli occhi, si svegliò
di scatto e guardò l’ora.
«Ma…
sono le dieci! È tardi, cosa mi è preso? L’escursione, Flavia»! Gridò dalla sua
stanza, dimenticando il litigio della sera precedente. Non rispose nessuno, si
alzò, aprì la porta, Flavia non c’era, era partita senza di lei, senza
chiamarla.
Si precipitò verso il telefono, aveva il cuore che le
scoppiava in gola, la rabbia e la preoccupazione s’erano impadroniti di lei.
«Pronto
è la camera settecentonove, sì, vorrei sapere se la signorina Tarbi ha lasciato
un messaggio per me».
Una
voce maschile rispose:
«sì,
ha lasciato detto che non rientrava prima di sera, come previsto».
« Bene, grazie».
Chiuse
il telefono, amareggiata per il comportamento di Flavia. Strinse i pugni e si
morse le labbra. Dopo aver fatto una doccia si vestì e decise di uscire per
visitare da sola i luoghi, nel prendere la borsa, cadde a terra il bigliettino da
visita di Khaled, lo raccolse e lo lesse, fu vinta dall’idea di chiamarlo,
compose il numero con agitazione il cuore le batteva a mille…
« Pronto,
è l’ingegnere Khaled Senghen»?
«Sì,
sono io, goccia del Nilo».
«Come
fa a sapere che sono io»?
«La sua
voce, la riconoscerei fra tutte, e poi, non succede tutti i giorni di sentire
la voce di una donna che parla italiano». Oriana sorrise arrossendo per la sua
ingenuità e aggiunse:
«Vero,
ha ragione sono stupida».
4
«No, non
dica così. Che cosa succede, ha riflettuto e cambiato idea su quanto, le avevo
proposto ieri sera»?
«Beh,
devo ammettere che mi sono svegliata tardi e la mia amica non ha voluto
disturbarmi e così sono rimasta da sola e …e non conoscendo nessuno…»
«Capisco,
guardi, sarò da lei fra dieci minuti, vengo a prenderla».
«Aspetti,
le do l’indirizzo…»
«No,
non si preoccupi ieri sera ho domandato chi aveva prenotato il ristorante e mi
hanno detto che lo Sheraton aveva prenotato
per due delle sue clienti. »
«Bene!
Vedo che fa anche il detective.» Khaled sorrise e ribadì che sarebbe arrivato
subito.
Oriana
si fece trovare nella hall dell’hotel, lui arrivò dopo dieci minuti, si
salutarono e si scambiarono un sorriso, le tese il braccio e l’accompagnò all’auto che li
stava aspettando all’uscita.
«Allora,
dove vuole andare? Mi dica. Ogni suo desiderio sarà esaudito».
«Non
le chiedo tanto». Disse lei timidamente.
«Va
bene, allora cosa le piacerebbe visitare»?
«Mi
sarebbe piaciuto ritornare alla piramide che ho visto ieri».
«Ma
se l’ha già vista a cosa serve ritornarci»?
«Sì
ha ragione, ma devo vedere qualcosa di cui non ricordo più il nome».
«Va
bene andiamo, il nome della piramide, quello se lo ricorda»?
«Sì,
di Cheope».
Khaled
parlò all’autista e partirono; le frecce sui cartelli indicavano i siti
archeologici del Cairo, e mentre l’auto percorreva la strada…
«Allora,
la sua amica come mai non l’ha svegliata, visto che lei ci teneva tanto
all’escursione»? «Non ha voluto svegliarmi visto che dormivo profondamente ».
«Ho
come l’impressione che io non le sia simpatico».
« È
solo una sua impressione, lei è fatta così sono anni che ci conosciamo, si è
sempre presa molta cura di me, essendo di qualche anno più grande, è un po’
come una sorella maggiore per me».
«Capisco…
ah! Eccoci giunti, metta pure il suo cappellino altrimenti il sole le brucerà il
viso, in questo periodo è particolarmente cocente».
«Sì,
grazie per avermelo ricordato, un attimo solo e sono pronta per uscire al sole».
Con
un movimento Oriana infilò la sua testa in un cappellino di lino, i capelli
castano dorato contrastavano col suo colore bianco, lui la guardò intensamente
prima di scendere per aprirle la porta, le tese la mano e disse all’autista di
aspettarli lì.
«Ecco
l’entrata! Ieri ho visto qualcosa che desidererei rivedere».
«Andiamo,
sono curioso di vedere cosa l’ha spinta a venire di nuovo a vedere questa
piramide». «Esattamente non lo so ancora, anche perché è solo una curiosità.
Ecco ci siamo è qui vicino. È un disegno con dei geroglifici».
«Io
posso leggerle alcuni passaggi se le fa piacere».
«Cosa?
Davvero lei sa leggere i geroglifici»?
«Sì,
ho lavorato con degli archeologi ed ho appreso a leggerli».
«Ma è
magnifico»! Sorridendo Khaled si girò dicendo:
«Vediamo
cosa c’è di così importante da scoprire».
«Ecco!
Legga qui. È quello che ha letto ieri la guida».
Khaled
iniziò a leggere:
«Sulle
sue rive giaceva vinto dalla stanchezza, Khaled. Aveva lavorato tutto il giorno
alla costruzione della piramide di Cheope. Era il momento in cui il sole cedeva
il posto alla sera, la luna s’alzava nel cielo
salutando il sole, pallida, avanzava timidamente e rischiarava le acque
del Nilo “il Signore della pianura,” che serpeggiava nella valle tra le
piramidi; il grano alto e biondo,sussurrava una ninna nanna suonata dal vento
fra le spighe».
Khaled,
terminò di leggere e la guardò con curiosità. Oriana subito disse:
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«Non
trova che sia una strana coincidenza il nome dello schiavo»?
«Sì, Khaled
comunque è un nome molto diffuso la cosa più strana è che non era uno schiavo,
ma un ingegnere dell’epoca, c’è scritto nel seguito».
«Inquietante
e allo stesso tempo direi misterioso».
«Già,
non avevo mai letto questo geroglifico».
«E
cosa dice d’altro»?
«Aspetti,
deve sapere che gli antichi Egizi amavano raccontare la loro vita quotidiana,
che annotavano sui muri delle tante costruzioni o su tavolette, come se fossero
diari. Qui, Khaled è evidente che non abbia scritto lui questa pagina di
quotidianità, poiché dormiva, ma la sua donna, che probabilmente l’aveva
guardato dormire, e volle lasciare le sue emozioni, descrivendone la scena su
qualche tavoletta, lui probabilmente trascrisse qui il tutto affinché il suo
pensiero dimorasse nel tempo».
«Bello»!
Esclamò Oriana.
«Ma,
come fa a sapere che aveva una donna»?
«La
parete è grande, anche se restano pochi frammenti del geroglifico, sto cercando
di decifrare quanto è possibile capire, ci sono dei pezzi che mancano, ma leggo
un nome, venga, le spiego, vede quell’occhio»?
«Quale,
quello con le onde al posto dell’iride»?
«Sì!
Quello, è un indizio, poi le spiego. Qui, c’è un’altra giornata di lavoro,
calcoli e altre cose che spiegano come si svolge la giornata di Khaled
l’ingegnere, e qui c’è lui che parla della donna che viene a portargli della
focaccia, un pane molto nutriente a base di farina, acqua, cipolle e grasso,
cotto al forno, un pasto che di consueto era consumato da chi sprecava molte
energie nella costruzione delle piramidi.
Qui
c’è la testimonianza che aveva una donna, perché nel vederla dice: “Arriva come
vento del deserto, con i profumi del pasto quotidiano, mi perdo nelle onde dei
suoi occhi, che dell’azzurro Nilo, ne ha rubato i colori, mia dolce Ori…”non si
legge interamente peccato che manchi il pezzo…»
Alle parole appena pronunciate seguì il silenzio…
Oriana
e Khaled si guardarono e l’emozione fu grande, lui aggiunse, dandole per la
prima volta del tu:
«Se non
mi credi, chiama una guida o un esperto e fatti dire quello che c’è scritto».
«No,
ti credo». Disse Oriana, evidentemente emozionata quanto lui, dal momento in
cui aveva incrociato i suoi occhi aveva risentito la stessa sensazione, che la
sera precedente.
Si guardavano e non arrivavano a staccare gli occhi l’uno dell’altro.
Khaled le prese la mano e la porto alle labbra sussurrandole:
«Goccia
del Nilo dove sei stata fino adesso»?
Lei rispose:
«Ho
aspettato questo momento forse da sempre, ma no ne conoscevo il perché, ora lo
so e non mi pento d’avere atteso tanto».
Erano
rimasti da soli, il gruppo di turisti che era appena passato loro accanto si
era allontanato proseguendo nei dedali della piramide. Khaled, guardando Oriana,
la strinse a sé accarezzandole il viso, con la stessa delicatezza che avrebbe
accarezzato i petali di una rosa bianca e delicata. Avvicinò le labbra al suo
orecchio e le sussurrò: «Bentornata Ori…».
Anna Giordano. 28/06/2008