sabato 6 maggio 2017

Chissà se Vincent Van Gogh …

                                                             
Ogni volta che il mio sguardo si posa sui quadri dei grandi pittori, soprattutto quelli di alcuni artisti che hanno avuto una vita grama e che solo dopo la loro morte sono 
stati riconosciuti i loro meriti, 
 ho un pensiero che mi attraversa, come un richiamo, come un brivido di tenerezza per chi ha dato tutto e in cambio non ha ricevuto null'altro che il disprezzo , l’incomprensione e le umiliazioni.
Non so perché in questo istante penso a Vincent Van Gogh , che 
 malgrado il suo nome può fare immaginare qualcosa di vincente nella vita, ma che chissà, per quale occulto mistero non ha goduto di vittorie, anche se poi il suo genio è stato riconosciuto, e che purtroppo non l’ha mai saputo. Peccato!
Ognuno lo schivava, altri lo trattavano per un poco di buono, un ubriacone mezzo matto e che i suoi quadri non valevano niente... E mi fermerei qui poiché è evidente che chi giudicava non era competente oppure era soltanto indietro di anni di fronte alla poesia che in quei quadri Van Gogh esprimeva. Egli era un sognatore poeta del suo sguardo, lui non vedeva le cose allo stesso modo che gli altri, perché oltre agli occhi usava l'anima. 
Quando  dipingeva,  dipingeva le vibrazioni che la sua anima emanava. Un cielo stellato

per lui non era solo un fondo scuro con qualche spruzzo dorato, no, era un cielo fatto di sfumature di blu scuro che andava al blu più chiaro, ambrato da veli leggeri appena più chiari che mettevano in risalto il buio col movimento che dipingeva come soffi di vento, attorcigliati intorno a stelle che a loro volta diventano ai suoi occhi, girandole. Stelle che nei suoi dipinti rappresentano e compongono ciò che definirei il movimento statico.  Era come se volesse raffigurare il respiro dell'universo,  una allegoria, e  non solo un cielo scuro con qualche stella dorata, ma un'esplosione dell'anima impressa su tela, un universo mai visto se non attraverso i suoi occhi, quelli di un puro sognatore poeta-pittore.
“Eppure, fu un genio incompreso, che annegò la sua solitudine e il disprezzo mostratogli per le sue opere, nell'alcol che alleviava, forse, il dolore che tutti gl'infliggevano. La sua, inizialmente, non credo fosse vera pazzia visto che un genio mette sempre un pizzico di follia in quello che fa, rendendolo speciale, fuori dalla norma, fuori da quelli che sono i canoni predisposti dalla società,  abituata a dei comportamenti così detti: normali. Quando ciò succede si è subito etichettati e definiti pazzi. Gli squilibri mentali che gli erano stati riscontrati e, che comunque, nella sua famiglia non erano sconosciuti; furono per Vincent anche la causa della sua depressione, dovuta probabilmente anche allo stato marginale in cui viveva che lo spinse a bere di tutto finanche l'assenzio, di cui all'epoca non si conoscevano troppo gli effetti collaterali e nefasti che si ripercuotevano su chi ne faceva uso,  tanto da incidere notevolmente sullo stato mentale che accentuò, per il povero Van Gogh, le cause del suo suicidio”.
Dicevo, vorrei tanto che quel giovane pieno di genio che si tolse la vita a 37 anni, potesse conoscere di cosa è stato capace e come la sua arte post-impressionista, oggi si sia affermata ed abbia arricchito l’arte nonché la vita di chi, sui i suoi capolavori, ha speculato.
Povero Vincent, chissà cosa direbbe ora del periodo in cui tentava di barattare una tela contro una bottiglia di vino o anche solo un bicchiere e veniva cacciato via come un appestato. Chissà se al posto delle cattive lingue avesse  incontrato anche solo una persona che avesse condiviso con lui la bellezza delle sue tele, ed apprezzato la poesia che lui sapeva così bene tradurre nei colori e le composizioni dei suoi capolavori. Chissà cosa direbbe se conoscesse la fama delle sue opere raggiunta solo dopo la sua morte. Immagino i suoi occhi che tante volte egli dipinse nei suoi ritratti, di quale luce si vestirebbero se scoprisse oggi la sua fama mondiale?
Sono sicura che brillerebbero come nidi di stelle come quelle dei suoi quadri,  pieni di lacrime di gioia, riscatto di una vita sofferta e annegata nella più grande sofferenza dell'incomprensione. Vedere i suoi girasoli 
che esprimono, malgrado i colori accesi, un velo di malinconia, recisi e messi nel vaso; fiori che, forse, definiva tristi poiché la loro vita dipendeva dal sole,   obbligati a seguirlo per sopravvivere e quindi in un certo senso suoi prigionieri. Oppure i suoi iris,
così veri e non apprettati, messi quasi alla rinfusa nel vaso, come se un guizzo di follia all'improvviso l'avesse ispirato ad immortalarne la bellezza prima che appassissero …  E che dire del ramo di mandorlo?
Soltanto un ramo, perché bastasse a raccontare la bellezza delicata della primavera dei suoi fiori, fissata su una tela per vivere nel tempo.

Così come il suo ultimo gesto che, con una pennellata color rosso sangue, coprì il grigio della tela della sua esistenza. 

Febbraio 2017 Anna Giordano.

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