Il bar del
Nobile era l’unico bar del paese. Il suo proprietario, che vestiva con
raffinata eleganza, aveva un aspetto distinto e il suo modo di parlare lo
caratterizzava perché la sua erre sembrava
che rotolasse sul sapone. In armonia con gli amici lo aveva battezzato proprio
così: il bar del Nobile. Era il luogo di ritrovo di tutti, amici e non. Era situato
in una piazzetta dove una fontana a zampillo sputava acqua a singhiozzi dal
muso di un delfino arrugginito. Sulla destra,
un giardinetto accoglieva i bambini per giocare e di fronte al bar la strada
erta portava alla collina dei fichi, che era un piccolo quartiere. Nel paesino
era d’usanza ribattezzare gli amici con un soprannome, per identificarli subito.
Pasqualino detto
Occhio Fino a causa della sua pronunciata miopia, Peppe detto il Professore per
i suoi atteggiamenti da intellettuale, e Antonio che tutti chiamavano il
Cancelliere a causa del suo lavoro, che consisteva nell'aprire e chiudere il
cancello del cimitero, stavano seduti davanti al bar. I tre solevano riunirsi lì
dopo il lavoro, ad orario fisso, e parlavano del più e del meno.
Occhio Fino diceva
dell’arrivo nella giornata di una nuova famiglia in paese, madre padre e figlio,
questo ultimo, probabilmente loro coetaneo, sui trentacinque anni all’incirca,
in base a quanto gli era stato riferito.
Il professore
domandò subito che professione esercitasse il nuovo arrivato, egli era curioso
sempre di sapere,
che tipo di lavoro svolgessero le persone, perché così, le catalogava nel suo
registro mentale, per poi sfoggiare loro tutto il suo sapere e passare ai loro
occhi per un erudito.
Occhio Fino non
poté fornirgli altre informazioni, non conoscendo ancora la persona.
I
tre amici stavano sorseggiando, come di consueto, il loro aperitivo, quando il
Cancelliere seduto accanto ad Occhio Fino esclamò con stupore: «
Occhio Fino, ma sono i miei occhi oppure quel camion che sta giungendo, non ha
l’autista ?»
Occhio
Fino rispose: « Ma proprio a me lo chiedi, io vedo il camion, mi sembra che
l’autista ci sia, o no ?»
Il
Professore che volgeva le spalle alla strada erta, domandò di quale camion
stessero parlando, il Cancelliere
rispose: « Quello che, se non ci togliamo di qui ci viene addosso. Non c’è
l’autista !»
Il
Professore scattò dalla sua sedia in piedi, guardò il camion che avanzava in
loro direzione e gridò:
«Nessuno
a bordo! »
Tutti
si buttarono a terra, sul lato del giardinetto, quando, a loro sorpresa il
camion si fermò.
Lentamente
cigolando, si aprì la portiera e ne uscì fuori un ragazzo, all'incirca delle
loro età, alto non più di m.1.40, baffi curati,
indossava una tuta verde, che era stata accorciata conservando tutta l’ampiezza,
tanto da fare uscire appena, le scarpe nere a punta tonda sulle quali poggiava
sopraelevato da due tacchi di circa 5 centimetri. Non era
un nano, sembrava più un bambino che non un adulto.
Salutò
tutti con un: « Salve !»
I tre
amici che nel frattempo si erano alzati, cercavano di darsi un contegno,
spazzolandosi i pantaloni.
Imbarazzato,
il Professore avanzò verso di lui tendendogli la mano e disse: «Mi
presento, Peppe, per gli amici: il Professore. Stavo insegnando loro una tattica
di rugby, e tu da dove vieni ?»
«Io
sono nuovo, sono appena giunto, abito sulla collina dei fichi»,
i tre si guardarono, «mi chiamo Mario e faccio il
camionista, non ho amici, sono sempre
all'estero, lì ho qualche amico, voi siete i primi ragazzi che incontro qui».
I tre lo invitarono a bere con loro, Mario li ringraziò e salutandoli, entrò nel camion e ripartì.
Appena si allontanò i tre, insieme al Nobile, lo
battezzarono “Il Marziano”.
Anna Giordano