Ci fu il primo giorno del mondo per l’essere umano, in cui
la parola dischiuse le sue labbra per salutare il sorgere del sole.
Non si sa, se fu un parlare oppure un suono mozzo o
ancora un canto, allora la scrittura non
esisteva ancora, nessuno lasciò il suo parlare scritto, non c’erano
appuntamenti da dare, eppure l’uomo fu puntuale.
Gli uccelli cantavano insieme alla natura, e la parola era
poco usata, erano suoni più che parole in cui si coglievano che d’espressioni,
articolate, sillabate, strozzate in gola dallo stupore nell'aver visto nascere
il sole, e l’uomo fu ancora puntuale, quando il sole lo stesso giorno andò a
dormire nel mare, e ancor più grande fu lo stupore che raccontava un
plenilunio.
Erano suoni mozzi, misti a singhiozzi, e solo lo sguardo
parlava per lui.
Non c’erano filosofi e nemmeno dottori, né ministri o
trattati sociali, c’era l’uomo, la terra ed i suoi componenti, liberi tutti e
senza costrizioni.
Poi venne il tempo in cui l’uomo drizzatosi camminò,
dominando dall'alto ciò che aveva visto un tempo in cui stava, sui quattro arti.
Vide i giorni, cambiarsi in stagioni e vide la vita cambiare
nei suoni, la sua parola s’articolava ed imitava la voce del mondo, egli cantò
il ritmo del vento, dell’acqua che scorre, il fruscio dei suoi passi nei campi
incolti, ed imitò le voci dei boschi, girovagando da un punto all'altro in
cerca di cibo e di calore; dalla savana alla foresta vergine, dalla tundra al
deserto, che forse ancora non c’era, ma c’era il silenzio in cui s’adagiava,
quando la notte, spenta la luna, incuteva timore all'uomo nel mondo.
Egli ne impiegò di tempo per pronunciare una vera parola! Accese
il suo sguardo divenuto chiarore, quando il fuoco arrivò un giorno dal cielo, egli
l’accolse come un dono di dei, si bruciò nel
toccarlo ed emise un suono di dolore, così iniziò a catalogare le parole,
per indicare il bene e il male.
Pian piano nel tempo quelle stesse parole si tramutarono in
scambio, poiché ai gesti esse s’aggiunsero, per rafforzare le idee e le vicende
vissute, per dare un nome alle cose usuali, e man mano che il tempo passava,
con le parole egli trasmise i sentimenti…Venne la sera e venne il giorno, poi
ancora la sera e un altro giorno, e le parole divennero il sole che
rispecchiava la luce interiore.
Passò il tempo e l’uomo, tra il giorno e la notte, tra la
vita e la morte, lasciò di se, nei monili ed usanze, la sua cultura, custodita,
interrata.
I suoi disegni sulle rocce, sulle tavole in legno,
d’argilla, di pietra, disegni incisi sul ferro, sull'oro, su fogli di papiro,
su pelli e pergamene, poi sulla carta, i disegni divennero segni, sposando i
suoni della lingua in cui erano nati e assunsero diversi significati;
ci fu un’esplosione di segni e di scritture e l’uomo a poco
a poco divenne più maturo ed erudito. Amava contemplare, raccolto sul ciglio
dei cieli, il cammino verso le stelle, i pianeti e le terre lontane, incominciò
a fare riflessioni e così nacquero, filosofi e profeti, poi venne il tempo in
cui la parola, ormai da tempo nata, volle erudirsi, affinarsi, distinguersi fra
le altre, e nacquero così poeti e scrittori, che tramandarono negli anni la
sola cosa che fa vivere i popoli: la libertà del pensare che si trasforma in
azioni, in esempi, in canzoni, in poesie, in leggi, in insegnamenti dei
sentimenti, in parole magiche, tragiche, fantastiche, uniche, e innumerevoli
sillabe se pure dissonanti negli idiomi, che sia cinese, arabo, francese,
inglese, tedesco o italiano e passa…ha poca importanza, fan si che le parole siano
libertà espressiva, di chi unendo le sue idee al gesto dello scrivere le rende
eterne.
Anna Giordano 2007