martedì 24 settembre 2019

PERCHÈ SI SCRIVE




Ci fu il primo giorno del mondo per l’essere umano, in cui la parola dischiuse le sue labbra per salutare il sorgere del sole.
Non si sa, se fu un parlare oppure un suono mozzo o ancora  un canto, allora la scrittura non esisteva ancora, nessuno lasciò il suo parlare scritto, non c’erano appuntamenti da dare, eppure l’uomo fu puntuale.
Gli uccelli cantavano insieme alla natura, e la parola era poco usata, erano suoni più che parole in cui si coglievano che d’espressioni, articolate, sillabate, strozzate in gola dallo stupore nell'aver visto nascere il sole, e l’uomo fu ancora puntuale, quando il sole lo stesso giorno andò a dormire nel mare, e ancor più grande fu lo stupore che raccontava un plenilunio.
Erano suoni mozzi, misti a singhiozzi, e solo lo sguardo parlava per lui.
Non c’erano filosofi e nemmeno dottori, né ministri o trattati sociali, c’era l’uomo, la terra ed i suoi componenti, liberi tutti e senza costrizioni.
Poi venne il tempo in cui l’uomo drizzatosi camminò, dominando dall'alto ciò che aveva visto un tempo in cui stava, sui quattro arti.
Vide i giorni, cambiarsi in stagioni e vide la vita cambiare nei suoni, la sua parola s’articolava ed imitava la voce del mondo, egli cantò il ritmo del vento, dell’acqua che scorre, il fruscio dei suoi passi nei campi incolti, ed imitò le voci dei boschi, girovagando da un punto all'altro in cerca di cibo e di calore; dalla savana alla foresta vergine, dalla tundra al deserto, che forse ancora non c’era, ma c’era il silenzio in cui s’adagiava, quando la notte, spenta la luna, incuteva timore all'uomo nel mondo.
Egli ne impiegò di tempo per pronunciare una vera parola! Accese il suo sguardo divenuto chiarore, quando il fuoco arrivò un giorno dal cielo, egli l’accolse come un dono di dei, si bruciò nel  toccarlo ed emise un suono di dolore, così iniziò a catalogare le parole, per indicare il bene e il male.
Pian piano nel tempo quelle stesse parole si tramutarono in scambio, poiché ai gesti esse s’aggiunsero, per rafforzare le idee e le vicende vissute, per dare un nome alle cose usuali, e man mano che il tempo passava, con le parole egli trasmise i sentimenti…Venne la sera e venne il giorno, poi ancora la sera e un altro giorno, e le parole divennero il sole che rispecchiava la luce interiore.

Passò il tempo e l’uomo, tra il giorno e la notte, tra la vita e la morte, lasciò di se, nei monili ed usanze, la sua cultura, custodita, interrata.
I suoi disegni sulle rocce, sulle tavole in legno, d’argilla, di pietra, disegni incisi sul ferro, sull'oro, su fogli di papiro, su pelli e pergamene, poi sulla carta, i disegni divennero segni, sposando i suoni della lingua in cui erano nati e assunsero diversi significati;
ci fu un’esplosione di segni e di scritture e l’uomo a poco a poco divenne più maturo ed erudito. Amava contemplare, raccolto sul ciglio dei cieli, il cammino verso le stelle, i pianeti e le terre lontane, incominciò a fare riflessioni e così nacquero, filosofi e profeti, poi venne il tempo in cui la parola, ormai da tempo nata, volle erudirsi, affinarsi, distinguersi fra le altre, e nacquero così poeti e scrittori, che tramandarono negli anni la sola cosa che fa vivere i popoli: la libertà del pensare che si trasforma in azioni, in esempi, in canzoni, in poesie, in leggi, in insegnamenti dei sentimenti, in parole magiche, tragiche, fantastiche, uniche, e innumerevoli sillabe se pure dissonanti negli idiomi, che sia cinese, arabo, francese, inglese, tedesco o italiano e passa…ha poca importanza, fan si che le parole siano libertà espressiva, di chi unendo le sue idee al gesto dello scrivere le rende eterne.

Anna Giordano 2007

CIECHI PER NON VEDERE




Sicuro,
ci sono le guerre che oscurano la luce della vita,
rendendo ciechi gli uomini con l’odio.

Popoli che non hanno più voglia di cantare,
poiché la loro musica è il dolore.

Ci sono poi le disfatte, e più in là,
ancora più in là,
la morte,
che osserva il corpo piegarsi sotto
il peso degli anni…e stupirsi che regga ancora.

La luce, strappata agli occhi di chi muore,
ucciso come uccello da trofeo,
tarpandogli le ali,
baratta il velo bianco con il nero.

Metropoli,
le cui periferie s’illuminano d ’oscurità,
in cui, bambini sessantenni,
vivono nella loro fine come tramonti senza albe,
e l’impotenza di non poterli aiutare,
ci rende ciechi per non vedere.

Il tempo corre, va’ troppo in fretta,
trascura la realtà che ci evita.

Gli specchi, riflesso di noi stessi,
sono rimasti intatti, 
non il coraggio di rimettersi in gioco,
né l’eleganza dell’umiltà, d ’essere nati ricchi,
  di mettersi nei panni d’altri,
per constatare se il sole brilla allo stesso modo.

Crediamo d ’essere superiori,
e non ci accorgiamo,
che siamo solo l’infimo di noi stessi,
davanti a tanta oscurità.

Anna Giordano 12/02/20107



IL VISO DELL'AUTUNNO




Si tinge d’oro e porpora 
il viso dell’autunno,
gli occhi suoi si bagnano 
di colori caldi,
sul viale del tramonto 
gli strascichi del tempo
vestono il suo corpo,  
che si piega al destino.

Scivolano sui i suoi fianchi 
rivoli di tristezza,
sulle sue guance lacrime 
bagnano l’allegrezza,
un coro di foglie morte 
cadute giù dall'albero
cantano insieme al vento 
l’autunno che avanza.

07/10/2018  Anna Giordano