giovedì 15 dicembre 2011

PARODIA SU PIPPO BAUDO

Parodia  Pippo Baudo.

Con quei capelli un po’ così, tinti di rosso chissà perché? La sua statura da super Pippo, naso pronunciato, manca soltanto il mantello di Super Pippo e le piante di arachidi e poi è perfetto. Pippo tutto fare, come la scopa. 
Pippo che scopre tutti, sovente le giovani fanciulle e belle donne. Pippo è l’inventore del secolo, pare che senza di lui, tutte le cose non si siano concretizzate. Lui è il Pigmalione, io direi big maglione che gli ci vuole per la sua statura e per di più pink come la pantera, che in un certo senso le somiglia, gambe lunghe e magre, postura identica… fluido nella parola se non loquace come un treno in corsa, quando ha la telecamera davanti, la riempie tutta, sfonda lo schermo, sì, lo sfonda proprio perché lui ama entrare dappertutto, Pippo in ogni minestra, e  butta tutti dalla finestra.


Pippo il Pigmalione di Mineo ovvero( Pippo Piglia-tutto –Nato a Militello in Val di Catania il 7 giugno 1936. Presentatore
La parodia che ho scritto impiega alcuni titoli dei suoi programmi che ho espressamente scritto in maiuscolo per distinguerli… Premetto e spero che Pippo Baudo non me ne voglia, la mia è solo ammirazione con un pizzico 
d'ironia...

Super Pippo non lo sa.

Pippo re dell’antica Trinacria nacque nell’anno ‘36 prima di tutti. Detto Bau-do, cognome ereditato da un segugio che abbaiava nelle tonalità di Do.
Sin da giovinetto si prefisse di voler condurre.
Infatti iniziò durante la prima guerra Punica sottraendo ad Attilio un righello che funse da bacchetta per guidare il primo carretto della storia siciliana. Così agendo, tolse ad Attilio il potere di condurre dicendo: Attilio, Regolo tutto io; tu entra nella botte quella con i chiodi, così il nemico non ti troverà, che ti porto io a Roma, ma Pippo per non essere in ritardo, spronò l’asinello e in una curva perse la botte che rotolò giù per la scarpata e, ahimè, il povero Attilio fu inchiodato da Pippo.
Dopo un anno approdò a Roma correva l’anno ’59, e Pippo non ancora super, perché l’asinello faceva il pieno di fieno, si accampò nei dintorni delle mura di Cinecittà, escogitando un piano per entravi. Lo scaltro Pippo non avendo a disposizione il famoso cavallo di Troia, prese il suo carretto e a cavallo dello sceccu, (asinello) coprì le sue gambe lasciando intravedere solo i piedi che toccavano a terra; addobbati come quelli del ciuco si confondevano con essi. Lo strano animale incuriosì il  re-Gista che per la prima volta vide un asino a sei zampe. Egli propose allo strano animale mezzo uomo mezzo asino, di diventare un conduttore condottiero per la RAI sigla che tradusse in mente sua: “Regnerò Anche Io”. Pippo non avendo le doti per il momento per essere conduttore fu messo a “GUIDA DEGLI EMIGRANTI” e “IN PRIMO PIANO.”
Correva l’anno ’66, quando tutti si domandarono cosa fosse successo. Pippo rispose: “Sono diventato Super Pippo!”
Dopo avere fatto una scorpacciata di arachidi freschi, appena raccolti nel suo giardino, scoprì di  avere SETTE VOCI, i suoi sudditi esclamarono: “Poveri noi, non bastava che Roma avesse sette colli, sette re, ora anche le SETTE VOCI di Pippo, una era più che sufficiente! Perché questo sette perseguita gli uomini sin dal tempo delle sette piaghe? Si salvi chi può ora sono diventate otto!

Trasformatosi in Super Pippo, egli indossava il suo mantello azzurro bordato di giallo con una “S” in rosso sul petto, colori che per parcondicio rappresentavano la Lazio e la Roma da sempre antagoniste.
Pippo svolazzava sulla città alla ricerca di talenti e sesterzi, quando adocchiò sulla zona di Trastevere un talento d’oro che brillava nelle mani di Claudio, detto il Reuccio. Super Pippo gli piombò addosso facendolo suo schiavo. Poi si diresse su uno dei sette colli di Roma e gridò ad una delle sue ancelle “Quirina-le cantanti dove sono? Che inizino i festeggiamenti con le “SETTE VOCI.”
Le festività dovevano durare solo sei lunghe settimane, ma, ahimé! Si protrassero tanto, da diventare lunghe quanto una pista di lancio, da dove il Super Pippo spiccò il suo primo vero e proprio volo. Si gettò sulle orme della Milano Sanremo, ma un anno prima qualcuno aveva saputo del suo arrivo imminente e decise di farla finita, salutando per l’ultima volta il suo amore cantando: “Ciao Amore” aggiungendo, non Tenco più la forza di continuare.
Così il Super Pippo nel ‘68 dovette far dimenticare agli Italici, popolo di canterini, il triste evento del ’67 conducendo SAN-REMO al festino, che gli addossò la colpa del suicidio dicendogli: “Non ci sono santi che Tenco- no…facendolo passare per un mistero di vino e che puntual-mente, e ci riesce!

Gli anni passano e Pippo cresce, nell’anno ’70 con una sua prodezza da Super Eroe afferra al voloLA FRECCIA D’ORO” e conquistatosi la fama di valoroso condottiero, nell’anno ’72 Super Pippo continua a condurre per il naso i suoi sudditi, e canzonetta tutti con CANZONISSIMA. Poi arrivò L’ORA DELLA FANTASIA fa un salto in teatro e per due anni e si trova nella macchina del tempo scaraventato nel futuro senza protezione e SENZA RETE programmato per l’anno ’74 SPACCA-QUINDICI secondi giusti e si aggiudica nel ‘75con UN COLPO DI FORTUNA, che cosa
SECONDO VOI? L’anno ‘77? Bhe, sì ancora lui e poi fu preso a lavorare nel ’79 al LUNA PARK che malauguratamente situato di fronte il palazzo RAI sigla che evolveva con Super Pippo
( Riconduco Ancora Io) gli fece ricordare che una DOMENICA IN una SERATA D’ONORE lui era stato il FANTASTICO5 il numero che aveva conquistato a corte del re Berlusca un regno nel quale restò poco perché gli mancava la sigla RAI(Resuscito Anche Io). Infatti dopo un anno iniziò una serie di SERATE D’ONORE e come Morandi una sua scoperta, aveva detto uno su mille ce la fa, il Super Pippo dice : “UNO SU CENTO è più semplice per me,” e punta sul GRAN PREMIO, e ce la fa e grida: “FANTASTICO!” Ed iniziò un nuovo decennio purtroppo sotto il regno di Pippo…
Correva l’anno ’90 e di decenni ne sono passati due da quel giorno ed i sudditi del feudo Bau-Do ancora esultano: “ Viva il re, Lunga vita al re!”

  Anna Giordano  2007 

 Un po' di anni fa scrissi e resi pubblica questa parodia su Pippo Baudo. Susseguentemente la pubblicai anche su questo blog  in 2011, nel 2014 la Rai ha festeggiato il suo anniversario, 60 anni, con un fumetto dedicato al nostro Pippo nazionale e Topolino e Pippo di Disney... Ecco la mia parodia in cui appunto parlo di Super Pippo nazionale paragonandolo al Super Pippo di Disney. Ero un po' avanti con l'idea oppure la mia idea è stata copiata?
 Ecco il link  dell'intervista a PippoBaudo 
:http://www.rainews.it/.../Accanto-a-Topolino-c-e-il-Pippo...

sabato 26 novembre 2011

tempo e movimento


Il tempo, nel movimento trova la sua immagine,
gli alberi nei secoli lo vedono passare inerti e,
rimangono a guardare chi veloce lo insegue
e mai lo raggiunge…

Anna Giordano

venerdì 14 ottobre 2011

I CAFFE' D'AUTUNNO DI BYBLOS...

Associazione Culturale Byblos ha creato un evento.


Venerdi 14 ottobre alle 19.00
Bar Tavano, Piedimonte d'Alife, Italy
 
http://corrierematese.blogspot.com/2011/10/anna-giordano-presenta-la-sua-ultima.html
 

Ho incontrato delle persone stupende…

Ieri sera come previsto, sono giunta a Piedimonte Matese; ad accogliermi c’era la gentilezza e la cordialità di Giovanna Mastrati, del Presidente dell’Associazione Byblos: Gianfrancesco D’Andrea, e Lo
rena Golvelli.
Accolta col sorriso e apprezzata, quanto sincera semplicità, tanto, da farmi sentire subito a mio agio. La sala pian pianino è iniziata a riempirsi e i tavoli e i divanetti sono stati occupati. Intorno a me tante persone, un’atmosfera gradevole e conviviale. Sorrisi e strette di mano, contatti calorosi, umani, il piacere di scambiare quattro chiacchiere prima d’iniziare…
Ora son qui a pensarci... e, dico grazie a Giovanna Mastrati, a Gianfrancesco D’Andrea, il Presidente dell’associazione Byblos, a Lorena Golvelli, al libraio Remo Caprarelli per la sua disponibilità e a tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita dell’evento.
Ringrazio il pubblico che mi ha onorata e omaggiata della sua partecipazione, dell’ attenzione che mi ha prestato e del tempo prezioso che mi ha dedicato, partecipando col pormi domande, ascoltando e seguendo con interesse le varie tematiche abbordate nel corso dell’intervista, tenuta egregiamente, della graziosa Lorena Golvelli.
Non posso che congratularmi con tutti voi che avete contribuito al successo dell’evento all’insegna della cultura, della lettura, delle arti in genere. Ringrazio la Bottega Terraquea Laboratorio di Ceramica Artistica, per la bellissima farfalla in ceramica che gentilmente mi è stata offerta. Ancora un caloroso saluto a tutti, sperando di incontrarvi presto, sono stata veramente bene insieme a voi, siete delle bellissime persone e il vostro impegno a promuovere la cultura e le arti, merita d’essere elogiato e sostenuto. Bravi per la vostra professionalità e serietà. Un abbraccio sincero agli organizzatori e a tutti coloro che erano presenti.
Buona domenica e ancora grazie Giovanna, Lorena, Gianfrancesco…
Anna.
























giovedì 22 settembre 2011

Una spiacevole scoperta...

 Qualche giorno fa, mentre stavo effettuando una ricerca su Google, ho scoperto fra i tanti link
 apparsi, un link che ha attirato la mia attenzione... le prime righe riportate erano quelle di un mio scritto e per curiosità l'ho aperto e a mia grande sorpresa ho scoperto che un signore si è appropriato della parternità della parodia di Giuleitta e Romeo che io ho scritto nel 2007 e che ho pubblicato nello stesso anno. Il forum in questione è il seguente:
http://giuliettaeromeo.forumfree.it/?t=32360151
tenevo a precisare che chi si appropria delle opere altrui è perseguibile in giustizia e che ciò che ho messo a disposizione sia su questo blog è di mia proprietà intellettuale e che se una persona si appropria di uno scritto è un ladro.
Il pensiero è qualcosa d'impalpabile lo si rende visibile attraverso la scrittura o l'azione, lo si può rubare, plagiare, ma non sarà che un frutto rubato e fine a se stesso, un seme ibrido senza speranza di riprodursi; a differenza chi ha generato quel frutto possiede il seme fertile che farà nascere all'infinito altri frutti.

Anna giordano

domenica 7 agosto 2011

LE MERAVIGLIE DELLA NATURA...

Le meraviglie della natura sono come le stelle sappiamo che brillano, ma troppe volte non le vediamo a causa delle nuvole, pensieri che annebbiano i nostri occhi, il nostro sentire...




















martedì 12 luglio 2011

PARODIE...

                                                Giulietta e Romeo a modo mio
 (  Parodia del dialogo tra Giulietta e Romeo, al risveglio, dopo il loro matrimonio clandestino.)

VERSIONE IN NAPOLETANO (Segue la versione in ITALIANO) Si consiglia di leggere prima la versione originale in fondo alla pagina e che S
hakespeare mi perdoni .


GIULIETTA -Ma te ne vuò proprie jì,? Nunn’è ancora juorno: quill'era 'o canto 'e ll'usignuolo, quillu disgraziato, ca se mette sempe 'ncoppa 'o granato, e mme  fa 'na capa tante, tutt’ 'e notte.
Nunn’è l’allodola no, ca t’ha scassat''e rrecchie, è proprio isso, 'o disgraziato.
Crireme ammò, è ll’usignuolo.

ROMEO-  Ucché! No, Giuliè, quella era l’allodola, 'a cunosche, 'o ssacce, pecché essa vene sempe a me rompere 'a matina 'ncopp''a fenesta. È peggio d''a morte, sape sempe quanne add’arrivà.
Nooo, nun’era ll’usignuolo.
Guarde, ammò, 'e vire chelle strisce, l’abbasce 'a destra toje, mmeriose comme 'e doje sore 'e Cenerentola e ca tagliano 'e nnuvole belle?
Beh, nce dicene ca 'e fiammelle c’hanno illuminat''a nuttata, se song cunzumate, e zitto zitto, per modo di dire, 'a matina, cuntenta e allera... guarda! Tene pur’a pazziella 'mmano, st''a scetà a tutti,  pecché s’è susuta'essa e s’hanno sosore pure ll’ate e 'a coppa 'a cima d’è muntagne mette fuoco 'a notte.

Me n’aggia jì, Giulié, si 'mme ne vache, vive, e si mme ne reste, more.

GIULIETTA- Aaah!! E sì! Vai! Tanto chella nunn’è 'a luce d'o juorno, io 'o sacce ched’è, è na meteora, schiarata d’'o sole pe' nun te fa scapezzà dint’all’oscurità, 'ncoppe 'a via pe' arrivà 'a Mantova.
Romé! Rimane! Ja? Nun te ne jì!

ROMEO- Ah, ma allora vuò ca me pigliano? Dillo! 'Naggia 'a miseria, vuò ca mm’accidene?
Evvabbene… si tu vuò accussì…? Però io, nun song cuntento. E dico pure ca chella disgraziata 'e luce, ll’abbasce, 'a vire ammore? Nun’è ll’uocchio d’a matina.
No.
È  sulo nu pallido riflesso d’'a luna ch’è rimasta addurmuta, e chelle note, ca se sentene d’int’all’aria, 'ncoppe 'o granato.
Giulié, dappetutto!
Nun songo  l'allodole, no. Giulié songo io, ca dico: "Vieni morte, vieni, tu si 'a benvenuta"!
Tanto Giuletta, vole accussì!
Vabbuono accusì Anema..mia?
Ma dico io, arraggiunammo 'nu poco, tanto ancora nunn’è  juorno…

GIULIETTA – Sì, sì, è Jurono, curre, vatténne subbito.

ROMEO -  Comme vattenne subbito? Giuliè ma tu fusse addeventata scema? Primma me dice statte, e 'mo ca vulevo arraggiunà 'nu poco…

GIULIETTA -È l’allodola ca canta. È accussì stunata ca 'mo l’agge ricunusciuta pure io,

 ROMEO -  Ah, 'mo me daje ragione!

GIULIETTA - Mammamia che voce brutta che tene.  Dicene ca ll’allodola, tene 'na voce bella quanne canta.
Chesta è amara e acuta! Comm''e pparole toje.

ROMEO – Ah! Mo fai pure la risentita? Primma vulive ch’ io muresse e 'mmo fai pur’avvedé ca te tire 'a cazetta.

GIULIETTA- Dicene ca l’allodola s’è cangnata  ll’uocchie 'cu quille schifuso  d’'o ruospo, ma se song sbagliate,  pecché s'è cangnate pure 'a voce  e 'o ruospe pure, nunn' era isso! Romé!
Jeri tu!

È chella stessa voce ca nce sparte.
Pecché, te si scucciate 'e 'sta l’uno dint' 'e braccia 'e ll'ate? E nun vire ll’ora 'e te ne jì... tu te ne vai e 'o juorne arrive.
Vattenne, vattenne, primma c''o sole, me fa vvedé 'sta faccia toja.

ROMEO- Vabbuono, me ne vache! Però, sappi, che cchiù arriva 'a luce d’'o juorne e cchiù
se vereno 'e difetti tuje. Te saluto Giulié!

(Entra la nutrice)

NUTRICE – Maronne!

GIULIETTA – Balia!

NUTRICE – Marò, sta arrivanne mammeta: statt’attiento è juorno.

GIULIETTA- Ci’agge ditto, a chist’impiastro e Romeo!  
Nun 'o vò capì ca se n’adda jì.
Fenesta mia aprete, s’è pure 'ncagliata, e... aiutame Romé, che stai a guardà? Jesce, Eh’JESCE!

ROMEO – Stattebona Giulié! E chi nce vene cchiù? ( Scende)

GIULIETTA - Sei andato via così? (sporgendosi dalla finestra)

ROMEO -  Perché dovevo prendere l’elicottero? (da sotto la finestra)

GIULIETTA – Ammore, signore, sì, marito e amico!
  
ROMEO – Sìì, zio, padre e cugino…

GIULIETTA – Romé, manneme 'e notizie tutt’e juorne, ogni mumento

ROMEO- Sì Giulié! Ti mando il corriere della sera o me fermerragge 'a posta, comme si nunn 'o ssapisse ch’e poste funzionano ammalamente: i disguidi, 'e perdite d’'e llettere...

GIULIETTA -  Ie agge sapé. Pecché  ogni minuto saranne duje juorne pe' mme.

ROMEO – Ma comme? Penzav'e t'av'è 'mparato a leggere buon'o 'rologgio e tu stai ancora a pere'e fiche, nientmene, cunti ancora 'nu minuto pe' duje juorne ? Giulié, ma si proprio 'na Caaa… puleti! Stattebona Giuliè!!!

Anna Giordano .
                                                                                                        
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                                         Traduzione 

GIULIETTA – Ma vuoi proprio partire? Non è ancora giorno, era il canto dell’usignolo, quel disgraziato si mette sempre sul melograno, e ogni notte mi fa una testa così. Non è l’allodola no, che canta e che ti ha rotto i timpani, è proprio lui, il disgraziato. Credimi amore, è l’usignolo.

ROMEO – Macché ! No, Giulietta, quella era l’allodola, la conosco, lo so, perché viene sempre a rompere la mattina sulla finestra. È peggio della morte, sa sempre, quando deve giungere.
Nooo, non era l’usignolo.
Guarda, amore: le vedi quelle due strisce, sulla tua destra, invidiose come le due sorellastre di Cenerentola che tagliano le nuvole più belle? Beh, annunciano che le fiammelle che illuminano la notte si sono consumate, e silenziosamente, per modo dire, il mattino giulivo e allegro, guarda ha pure un giocattolo in mano per fare rumore, s’è alzato.
E sì, perché, quando si sveglia lui, tutti si devono alzare; e sulle cime dei monti dà fuoco alla notte.

Me ne devo andare, Giulietta, se me ne vado, vivo, se resto muoio.

GIULIETTA – Ma sì! Vai!
Tanto quella non è la luce del giorno, io so cos’è; è una meteora illuminata dal sole, per illuminare il tuo cammino e non farti rompere l’osso del collo quando sarai sulla strada che porta a Mantova. Romeo! Rimani. Dai! Non te ne devi andare.

ROMEO – Ah...ma allora vuoi che mi prendano? Dillo! Per la miseria, vuoi che mi uccidano?
 E va bene, se tu vuoi così …? Però io, non sono contento. E dico pure che quella disgraziata di luce, laggiù, la vedi amore? Non è l’occhio del mattino.
No, è solo un pallido riflesso della luna, ch’è rimasta a dormire, e le note che si sentono nell’aria, sul melograno, Giulietta!
Dappertutto!
Non è l’allodola, no . Giulietta, sono io, che dico: Vieni morte tu sei la benvenuta!
Tanto,Giulietta vuole così!
Va bene così anima mia?

Ma, dico io, ragioniamo un po’, tanto, non è ancora giorno …

GIULIETTA – Sì, sì, è giorno, corri, vattene subito.

ROMEO – Come, vattene subito, Giulietta, ma per caso sei diventata scema? Prima mi dici resta e ora che volevo ragionare un po’…

GIULIETTA – È l’allodola che canta! È così stonata che l’ho riconosciuta pure io.

ROMEO – Ah! Adesso mi dai ragione!

GIULIETTA – Mammamia, che voce brutta che ha.
Dicono che l’allodola abbia una bella voce quando canta, questa è amara e acuta! Come le tue parole.

ROMEO – Adesso fai pure la risentita? Prima volevi che morissi ed ora, ti riveli pure schizzinosa.

GIULIETTA – Dicono che l’allodola abbia scambiato gli occhi con il ripugnante rospo, ma si sono sbagliati, perché si sono scambiati anche la voce ed il rospo, non era lui!
Romeo!
Eri tu!
È la stessa voce che ci separa!
Perché ti sei scocciato ormai, di stare l’uno nelle braccia dell’altro. Tu te ne vai e il giorno arriva.
Vattene, vattene, prima che il sole t’illumini e mi mostri la tua faccia.

ROMEO – Va bene, mene vado!
Però sappi, che più arriva la luce del giorno e più appaiono evidenti i tuoi difetti. Ti saluto Giulietta!

(Entra la nutrice)     

NUTRICE – Madonna!

GIULIETTA – Balia!

NUTRICE – Madonna sta arrivando tua madre: stai attenta è giorno.

GIULIETTA – Gliel’ho detto a questo impiastro di Romeo. Ma non vuol capire che se ne deve andare. Finestra mia apriti, s’è pure bloccata! Eh, aiutami Romeo che stai a guardare? Esci! E Esciiii!!

ROMEO – Stammi bene, Giulietta! E chi ci torna più? (Scende)

GIULIETTA – Sei andato via così? (sporgendosi dalla finestra)

ROMEO – Perché dovevo prendere l’elicottero? ( da  sotto la finestra)

GIULIETTA – Amore, signore, sì, marito e amico!

ROMEO – Sìì, zio, padre e cugino …

GIULIETTA – Romeo, mandami tue notizie, tutti i giorni, ogni momento …

ROMEO – Sì Giulietta, ti mando il corriere della sera, oppure mi fermo alla posta. Come se tu non sapessi che le poste funzionano male, i disguidi, le perdite di lettere …

GIULIETTA – Io devo sapere! Perché ogni minuto, sarà come due giorni per me.

ROMEO -  Ma come? Pensavo d’averti appreso a leggere bene l’orologio. E tu? 
Sei messa peggio  dell’inizio... nientedimeno calcoli ancora un minuto per due giorni? Giulietta, ma sei proprio una Caa…puleti!
Stammi bene, Giulietta!

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                                                         Versione Originale      

( Nel giardino dei Capuleto : Romeo e Giulietta si affacciano al davanzale della finestra ).

GIULIETTA :- Te ne vuoi già andare? Non è ancora giorno: era il canto di un usignolo e non di una allodola a ferirti il trepido orecchio. Di notte l' usignolo canta su quel melograno; credi a me, amore, era l' usignolo.

ROMEO :- No, era l' allodola, foriera del giorno, non era l' usignolo. Guarda, amore, come quelle strisce laggiù a oriente tagliano invidiose le nuvole. Le faci della notte si sono oramai consumate e in punta di piedi il giocondo mattino s' è levato sulle cime nebbiose delle montagne. Devo andarmene e vivere, o rimanere e morire.

GIULIETTA :- Quella luce non è la luce del giorno, lo so,…è una meteora irraggiata dal sole perché ti faccia da torcia e ti rischiari la strada che farai fino a Mantova. Rimani dunque, non devi andartene.

ROMEO :- Lascia che mi prendano, lascia che mi uccidano…se tu vuoi così, io ne sono contento. E dico anch' io che quel lucore laggiù non è l' occhio del mattino ma un pallido riflesso del volto di Diana, che quelle note che risuonano tanto alte, sopra noi, nel firmamento, non sono dell' allodola. Vieni morte, e sii la benvenuta ! Giulietta stessa vuole così. Va bene, anima mia ? Discorriamo, non è ancora giorno.

GIULIETTA :- Sì, sì, è giorno , corri via, vattene, subito ! E' l' allodola a cantare così stonata, sforzando aspre dissonanze e sgradevoli acuti. Dicono che l' allodola canti dolci melodie, ma questa è amara perché divide te da me ; dicono che l' allodola e il ripugnante rospo si siano scambiati gli occhi ; adesso mi sembra che si siano scambiate anche le voci poiché è questa voce a staccarci, spauriti, l' una dalle braccia dell' altro, allontanando te e ridestando il giorno. Vattene, vattene ! c' è sempre più luce.

ROMEO :- Più e più luce è nel cielo, più e più buio è dentro noi.

( Entra la Nutrice )
NUTRICE :- Madonna !

GIULIETTA :- Balia !

NUTRICE :- Madonna, viene vostra madre : è giorno, state attenta.

GIULIETTA :- Allora, finestra mia, fai entrare la luce e uscire la vita.

ROMEO :- Addio, addio ! Un bacio e scendo. ( Scende )

GIULIETTA :- Sei andato via così ? Amore, signore, sì, marito e amico ! Devo avere due notizie in tutti i giorni dell' ora perché in ogni minuto vi saranno ormai due giorni.

W. Shakespeare 

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lunedì 11 aprile 2011

VISITA A POMPEI


Camminavo insieme alla mia amica Fiorella e suo marito, quando avvistai il cartello che indicava Porta Marina; prima del cartello c’era una passerella in legno che improntai mentre mi lasciavo dietro il mondo moderno. Davanti a me il tempo si era fermato su quelle pietre nell'anno 79d.C, là, proprio dove poggiavo i piedi. Un luogo quasi sacro. Avrei voluto ascoltare il silenzio, ma le voci dei turisti s’intrecciavano fra loro, in un vocio di differenti idiomi pronunciati dalle guide che ordinatamente invitavano i vari gruppi di turisti a seguirli nelle strade battute dal cocente sole.
Iniziai risalendo la scoscesa strada che un tempo conduceva al porto… una volta, il mare, arrivava fino alla città sepolta. La panoramica mostrataci dalla guida parlava da sola, lo sguardo frugava tra i ruderi lì giacenti, come esseri feriti, sembrava che raccontassero la loro gloria che fu sepolta, quel 24 agosto di duemila anni or sono.
Nomi illustri popolavano la città, come Plinio il vecchio, il cui nipote, Plinio il giovane, descrisse  nelle sue lettere che da Pozzuoli assistette all'eruzione del Vesuvio e alla fine di Pompei. La storia oggi ce ne parla e, io e la mia amica Fiorella, ascoltavamo attente le informazioni che la guida ci riferiva. Il mio sguardo cercava d’immaginare quei luoghi nel loro splendore mentre immortalavo con le fotografie, l’attimo che fu e quello che stavo vivendo.
Che bello sarebbe stato se, per un solo istante, avessi potuto vivere la quotidianità di quel tempo. Sì, la guida raccontava, ma la mia fantasia andava oltre la realtà…
Sentivo in quei luoghi il fruscio delle toghe degli antichi Pompeiani ed i monili delle loro donne tintinnare al passo svelto sul selciato infuocato, come in quei giorni agostani che precedettero la loro fine...
I commercianti dietro i bar servire e proporre, verso mezzogiorno, ai clienti appena usciti dai bagni turchi le loro specialità, i carri provenienti dal porto passare nelle strade principali lasciando dietro di essi l’odore, magari, del pesce appena pescato o frutti appena raccolti, ed il rumore delle ruote dei carri incanalate nelle scie delle pietre scavate dall'usura dei loro frequenti passaggi...

Eravamo giunti col gruppo sulla piazza centrale, le colonne e i monumenti imponenti tracciavano quella che un tempo rappresentava l’agorà o piazza, luogo di ritrovo per filosofi, politici e altre personalità, in cui si discuteva, s’insegnava, si passeggiava…
Poco più in là, una fontana, e ancora più in là, un trivio famoso all'epoca, così raccontava la guida, che diceva di avere dato nascita al termine “triviale”che, etimologicamente, appunto, potrebbe essere riferito al trivio in questione dove si svolgeva una vita poco elegante, luogo in cui affluivano persone in cerca di vivere momenti di sfrenato piacere sessuale. Tre case sezionavano il trivio, di cui alcune servivano probabilmente per albergare e ristorare i visitatori che, susseguentemente, si trasferivano nella casa di fronte, dove, accolti da donne, per la maggior parte schiave, dette lupanare. Le donne ululavano per invitare i loro clienti a seguirle, e per questo motivo sembra che si debba loro anche l’espressione “ allupato” come pure “a luci rosse” espressione quest’ultima, dovuta alla lampada che le lupanare accendevano sul davanzale di un’apertura e che con la sua luce di colore rosso, indicava via libera agli ospiti in attesa di dare il via alle loro pratiche sessuali. 
Nella casa, ancora oggi, si possono vedere alcuni affreschi che immancabilmente, si paragonano, per il contenuto, al kamasutra.
Il sesso in quell'epoca era un’arte che si praticava senza veli.I falli erano di buon augurio e quasi di culto, e non mancavano d’essere rappresentati, come per l’occasione, utilizzati anche da indicazioni stradali, come nel caso, appunto, per indicare il trivio che funge da freccia a senso unico, e che si può vedere tutt'oggi su un bassorilievo realizzato su di una mattonella di tufo incastonata nei mattoni di un muro, per indicare il luogo del trivio...

Un po’stordita anche dal vociare dei turisti, uscimmo dalla casa dopo un rapido sguardo. Era proibito scattare foto a causa dei flash, e sollecitati dalla guida a far presto per permettere a tutti di passare da un luogo all'altro senza causare code, lasciammo i luoghi. La strada continuava, e le pietre scottavano sempre di più. Il sole ormai era alto nel cielo e le sensazioni mi avvolgevano come una coperta velata da dove trasparivano le scene immaginate dalla mia fantasia lungo le strade della città fantasma e pur tanto popolata in quel momento. I bagni non erano lontano e quando vi giungemmo, prima di entrare dovemmo sostare per far uscire altri gruppi da quei luoghi in cui gli antichi pompeiani avevano l'abitudine di sostare per tonificare il loro corpo e vivere un momento prolungato di relax, durante il quale, parlavano di lavoro, politica e tanti altri argomenti, allora, di comune interesse. 
In quel luogo, ormai punto d’incontro collettivo della città, gli antichi Pompeiani amavano trascorrere alcune ore della giornata.  
Il frigiderium, era per noi il posto in cui sostammo, non per rinfrescarci, purtroppo, ma per aspettare che si concludesse il giro del gruppo di visitatori che precedeva il nostro; dopo un po’ci permisero d’entrare dopo la loro uscita, in quella che era la stanza dei bagni turchi.
Lo sguardo mio si posò sulle pietre, deposte accanto al lettino dei massaggi, di forma quasi sferica, le stesse che più di duemila anni prima gli schiavi facevano infuocare e che, grazie alla loro forma tondeggiante, il calore durava più a lungo, quando le annaffiavano per produrre vapore.

Il letto in rame, dai bordi disegnati da tanti triangoli, ricco di bassorilievi tutto intorno, serviva per rilassarsi durante la sauna. Immaginai, per un attimo, qualcuno che, sotto le mani attente di una massaggiatrice/tore, si rilassasse per un massaggio, e per farsi ungere di oli profumati...
La polvere che era nell'aria si palpava, e si poteva vedere nei raggi del sole che penetravano all'interno di una vasta sala ornata da piccole cariatidi, posizionate intorno alle pareti della sala rettangolare, tutte  uguali in posa, sembrava che stessero lì con il preciso incarico di sostenere l’edificio sulle loro spalle. Il suolo rivestito di mosaici, che purtroppo, era ricoperto da una moquette per salvaguardarne la bellezza, non mi permise d’ammirarlo.
  
Effettuato il giro dei luoghi, e affascinata da tanta emancipazione, malgrado l’epoca, riflettei sul fatto che noi non abbiamo inventato niente che loro non avessero già inventato, e che purtroppo, noi che ci definiamo d’essere emancipati, abbiamo preso di loro solo gli esempi peggiori…
Il loro modo di vivere era invidiabile, amavano il bello, la vita tranquilla, curavano il corpo, la mente e l’anima, amavano l’arte, e la filosofia era presente nel quotidiano, andavano al teatro, tutti erano invitati e non pagavano, consumavano i pasti dopo la sauna nei numerosi bar di allora che erano un po’ i ristoranti di adesso. Finanche nelle latrine le discussioni politiche e anche filosofiche non mancavano, certo, oggi rideremmo di fronte  ad una tale situazione o almeno ciò causerbbe una situazione più che imbarazzante, ma allora era una cosa normale, i tabù non esistevano. Pompei è un esempio di vita cittadina trasmessoci da quelle case rimaste sepolte per secoli sotto la cenere ed i lapilli, e che oggi ci rivelano il loro passato e catturano la sensibilità di chi, come me, si è confrontato ad essa, ammirando la sua bellezza nell'architettura e anche per i loro usi e costumi, e non posso fare a meno di sottolineare d’essere vissuta in un tempo futuro al loro e pur tanto meno emancipato rispetto al loro.
Tutto ciò lascia riflettere sugli esempi di vita che potremmo emulare, se non altro per condurre una vita più in armonia con la natura. I pompeiani come i romani e tanti altri popoli antichi, rispettavano il dono dell’acqua, raccogliendola nel pluvium che era situato quasi sempre al centro del peristilio o dell’atrio della casa che aveva un’apertura nel tetto per permettere all'acqua di essere raccolta che poi serviva al fabbisogno quotidiano di ogni famiglia e veniva utilizzata anche per annaffiare i giardini, per alimentare le  fontane che ne facevano parte e per altre tante necessità giornaliere.  

All'uscita dai bagni turchi passammo davanti ai reperti archeologici chiusi dietro ai cancelli. S’intravedeva  il calco di gesso che era stato tratto dalla colata di calce nella camera d’aria formatasi intorno ai corpi rimasti, all'epoca, prigionieri delle ceneri del Vesuvio, poco distante una coppia di cani e un bambino che si copriva il viso… il tempo si era fermato a quegli ultimi gesti di vita. 


La guida guardò l’orologio e ci disse che il tempo era scaduto, erano già passate due ore da quando eravamo entrati, così, ringraziammo la guida a chi ognuno donò una mancia, egli ci salutò e andò via. Fiorella tirò dalla sua borsa la mappa di Pompei e suo marito la consultò per proseguire la nostra visita da soli. Eravamo sulla piazza principale e di là percorremmo la strada che attraversava in tutta la lunghezza  la città antica per raggiungere poi l’Anfiteatro, ma prima non volemmo mancare tutte le altre attrattive che i luoghi ci offrivano, la calura saliva ma il bello doveva ancora arrivare…
Entrammo in un sito in cui c’era una villa meravigliosa.
Il giardino servirebbe da esempio per i paesaggisti, se non altro per la sua perfezione e la sua praticità riguardo le fontane con le loro vasche che formavano cascate silenti e il tutto alimentato con la tecnica dei vasi comunicanti e la raccolta d’acqua piovana. Guardando le statue in bronzo di esemplari di fauna dell’epoca come il cinghiale attaccato dai cani mi sembrò strano scorgere accanto a queste statue anche quella di un cobra, oltre agli affreschi che riproducono scene di caccia anche con leoni. Inoltre alcuni affreschi in cui si può vedere una donna in déshabillé che mostra le sue grazie e che indossa delle calze autoreggenti in merletto. Una domanda mi saltò in mente: "già all'epoca esistevano le calze"?
La cosa mi colpì se non altro per la sua singolarità, in quanto, non avevo mai letto o visto in altre informazioni riguardanti capi vestiari del genere in quell'epoca.

Il cammino continuò scattando fotografie a statue, giardini, mosaici e scritte sui muri, decorazioni di tutta raffinatezza ornavano le case patrizie, le stanze però non avevano finestre ma tanti affreschi ne decoravano le pareti. Colore predominante il Rosso Pompeiano che accompagnato dal giallo oro
conferivano alle stanze delle ville, un aspetto regale. I giardini, gli anfiteatri, la palestra o meglio, il Gymnasium, con le Terme e tante altre attrattive completavano la città di Pompei antica e permettendo ai suoi abitanti di vivere in un contesto di emancipata raffinatezza, in parte ereditata dai tantissimi popoli che prima dei Romani popolarono la città, lasciando ognuno le proprie tracce di civiltà. Dai Greci agli Etruschi, agli egizi i quali influenzarono con le loro divinità e culti  gli abitanti di Pompei. 
Ancora oggi si trovano tracce ai crocevia o nelle case, di altari o nicchie in cui gli affreschi rappresentano Iside, Osiride, altarini che si sono poi tramandati negli usi cristiani e che a Napoli se ne contano parecchi negli antichi vicoli, senza dimenticarsi degli amuleti che ancora oggi troviamo sulle bancarelle di Napoli e che rappresentano fortemente le credenze degli antichi costumi tramandati dai loro antenati di Pompei e che, ancora oggi fanno parte del folclore Partenopeo.
L’escursione durava ormai da cinque ore e sia la calura che la stanchezza, iniziavano a farsi sentire, ma non nego che il dover lasciare quei luoghi mi dispiaceva, avevo fatto insieme agli amici un giro di sei ore senza sostare e verso le ore 16,00 decidemmo, anche se a malincuore, di avviarci verso l’uscita, consapevoli che c’era ancora tanto da scoprire.

Anna Giordano.




La Piazza

Dettaglio Piazza

Prospettiva- Piazza

Strada Principale

Dettaglio Del Trivio

Altro dettaglio del Trivio

Le Terme- Bagni Turchi

Letto - Terme

Un abitante di Pompei sorpreso dall'eruzione

Abitante di Pompei sorpreso dall'eruzione

La donna dalle calze in merletto

Dettaglio parete 


Scena di caccia in bronzo 

Villa della Venere
Affresco scena di caccia
Uno dei bar di Pompei
Resti di vestigia etrusche
Dettaglio affresco Villa della Venere
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Dettagli piazza Principale

Dettagli Piazza

Dettagli Piazza

Dettagli Piazza

Dettagli Piazza

Auditorium

Dettaglio mosaico raffigurante animale

Entrata di una casa- Affreschi



Vista su Piazza

Parco degli allievi.



Dettagli forno

Particolari di una casa

Dettaglio entrato mosaico- delfino

Strada principale

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